La scuola media, così come attualmente strutturata, ha innanzitutto il compito di introdurre negli studi secondari: si contino le ore da dedicarsi obbligatoriamente alle discipline di studio (22 su 30) a fronte di quelle dedicate a insegnamenti più pratici ed espressivi (8). Per dire se una scuola media funziona o meno occorre dunque valutare in che misura non spegne l’anelito alla conoscenza, invoglia a proseguire gli studi, è in grado di introdurre nel mondo dei saperi strutturati (le discipline) e di orientare ciascuno verso l’indirizzo di studi successivo più adatto a sé. Con una accortezza: i risultati vanno letti in un arco di tempo che eccede i convulsi anni delle medie, andando a curiosare come gli studenti proseguono il loro cammino nella secondaria di II grado.
Ciò detto, per migliorare le sorti funeste di tale segmento scolare – i dati del rapporto della Fondazione Agnelli sulla scuola la dipingono come buco nero del sistema scolastico – non occorrono particolari riforme del curriculum (ne abbiamo già viste troppe) o una dilatazione scriteriata del tempo scuola (già eccessivo rispetto ad altre realtà scolastiche europee che hanno ben altri risultati negli apprendimenti). Il curriculum della scuola media italiana ha una sua organicità e il lavoro svolto in questi anni per migliorare le indicazioni nazionali è stato pregevole.
La via più sensata per apportare delle migliorie è piuttosto osservare quelle scuole medie (e ce ne sono!) che si dimostrano all’altezza del loro compito formativo e orientativo. Formativo, perché a prescindere dalla strada che uno studente prenderà successivamente, la scuola è chiamata a favorire che ogni giovane, in quanto uomo, possa conoscere e comprendere la realtà, anche attraverso quei saperi strutturati che hanno reso grande e unica la nostra civiltà. Orientativo, perché la scuola media è un tratto del percorso che aiuterà il giovane a divenire consapevole del suo compito nel mondo, e già a dodici, tredici anni, emergono i segni di vocazioni differenti, che vanno presi sul serio e incanalati con intelligenza.
Chi fa scuola e chi la regolamenta dovrebbe guardare a queste realtà positive (ad esempio mi riferisco a molte delle scuole paritarie aderenti all’Associazione Culturale Il Rischio Educativo, distribuite su tutto il territorio nazionale) per cercare di carpirne il segreto, facendo attenzione soprattutto ai seguenti aspetti:
– innanzitutto tali scuole hanno scelto come via per introdurre gli studenti alla complessità delle discipline la ricerca dell’essenzialità (non i contenuti minimi – espressione priva di qualsiasi significato – bensì i contenuti e i metodi che permettono di incontrare l’essenza degli oggetti disciplinari indagati, il loro senso ultimo). Contro una tendenza innegabile alla frammentarietà dei saperi, risulta vincente il motto “non multa sed multum”: alcuni contenuti, affrontati con la pazienza e l’approfondimento necessari alla loro personalizzazione.
In secondo luogo, a fronte di una malintesa equiponderalità delle discipline, tali scuole hanno optato per una diversificazione dei ruoli delle diverse discipline ai fini del raggiungimento di obiettivi comuni, distinguendo sia nei percorsi sia nelle modalità di conduzione delle lezioni le discipline teoriche che impongono uno studio più manualistico e riflessivo e le attività più manuali ed espressive, caratterizzate dal “fare per capire”. Tale diversificazione non solo non ha penalizzato le discipline più pratiche, ma anzi le ha nobilitate perché ha invitato i docenti sia a riappropriarsi della specificità dei loro insegnamenti, sia a collaborare con i colleghi delle discipline teoriche, realizzando esempi di reale interdisciplinarità (che non avviene per somma o giustapposizione, ma per condivisione di una sintesi, di un senso ultimo).
– Tale impostazione è stata possibile grazie alla disponibilità dei docenti ad essere in continua ricerca e in dialogo tra loro (anche tra colleghi di scuole diverse). Docenti competenti nella loro disciplina, liberi e creativi, disponibili a condividere con gli studenti la loro ricerca. Questo è il profilo ideale dell’insegnante delle medie, che deve coniugare una solida preparazione e una sensibilità non indifferente al bisogno del ragazzo in evoluzione. Una urgente riforma da attuare per migliorare la scuola media è dunque l’assunzione diretta dei docenti (con tirocinio formativo e concorso abilitante indetto dalla scuola stessa o da una rete di scuole, perché no?). Ogni preside insomma sia libero di formare la sua squadra, perché non è possibile un’avventura educativa laddove gli adulti non condividano un progetto comune.
– Ultima notazione: i risultati migliori nella scuola media si ottengono laddove vi è flessibilità negli orari, nell’organizzazione delle cattedre, dove i vincoli ministeriali non penalizzano i tentativi di personalizzazione dei curricula. Perché se vuol essere davvero una scuola orientativa, la scuola media deve tener conto che la singola persona in questi anni inizierà ad evidenziare le sue attitudini, le sue inclinazioni, i suoi interessi e i suoi limiti. E per dar spazio e risorse a diverse modalità di accompagnamento degli studenti alla ricerca di sé stessi, occorre poter potenziare o recuperare, intensificare o ridurre, scegliere, anche eliminare… Il 20 per cento di autonomia alla scuola media non basta: occorre ampliare il margine di libertà e di diversificazione, per non penalizzare chi alla scuola crede ancora come possibilità di scoperta di sé e del proprio compito nella realtà.