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Home » Educazione » UNIVERSITA’/ Non funziona? E’ colpa del Porcellum…

  • Educazione

UNIVERSITA’/ Non funziona? E’ colpa del Porcellum…

Vincenzo Tondi della Mura
Pubblicato 21 Dicembre 2012
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Mariastella Gelmini

I problemi-chiave dell’università, diversamente da quel che potrebbe sembrare, non sono circoscritti ad essa. Son invece la “copia” in piccolo di quelli del paese. VINCENZO TONDI DELLA MURA

Sbaglia chi immagina che la crisi di sistema in cui versa l’Italia non rappresenti l’emergenza più acuta di una crisi radicata e generalizzata, che attanaglia l’intero Paese e che si riproduce al proprio interno, non escludendo nemmeno l’università.

1. Il sistema rappresentativo vigente, meglio conosciuto come «Porcellum», impedisce al corpo elettorale di scegliere i componenti degli organi collegiali e riserva la relativa selezione esclusivamente ai vertici politici (le segreterie dei partiti), così legittimando criteri di scelta arbitrari e non trasparenti. Il tutto, con il conseguente duplice effetto: per un verso, quello di vincolare fiduciariamente tali componenti ai vertici di comando, posto che la nomina dei primi risulta subordinata alla cieca e remissiva adesione ai dettami dei secondi; per altro verso, quella di precludere ogni forma di controllo politico proveniente dal basso, posto che in assenza di una scelta elettorale alcun tipo di vincolo lega i nominati al relativo elettorato.


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2. Una volta che le istituzioni restano preda di vertici politici incontrollati e incontrollabili, egualmente senza controllo divengono le relative azioni. Le istituzioni si tramutano in strumenti operativi di vertici potenzialmente famelici e insaziabili. Il tutto, con il conseguente duplice effetto: per un verso, quello di alimentare i personalismi, i familismi e tutte quelle commistioni d’interesse pubblico e privato che determinano la mala amministrazione; per altro verso, quello di eccitare il populismo e la demagogia. Mancando di copertura democratica, tali vertici cercano un titolo di legittimazione non più nelle regole eguali per tutti, bensì in fattori eccezionali, incontestabili, mitologici. L’appello al popolo, alla piazza, alla “gente”, diviene il modo per scavalcare gli ordinari strumenti di garanzia (la legge, le sentenze, ecc.) e per giustificare le proprie illegittime pretese.


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3. La dinamica rappresentata attanaglia pure l’università, presentando i medesimi fattori causali e le medesime ragioni di criticità e d’inevitabile (e irreversibile?) declino. Anche l’università è regolata da un sistema solo apparentemente rappresentativo, posto che il «Porcellum» è sostanzialmente pari al «Germinellum». 

La riforma Gelmini ha disciplinato la composizione del Consiglio di amministrazione universitario aprendo la via a una pericolosa involuzione verticistica e autoritaria. Essa ha previsto che la nomina dei consiglieri avvenga sulla base di una mera “designazione o scelta” (art. 2, comma 1, lett. i), l. n. 240/2010). 


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In fase di prima applicazione, la normativa è stata intesa dalle singole sedi universitarie nel senso che i candidati devono essere nominati non già all’esito di una consultazione elettorale, bensì in via di cooptazione (direttamente dal Rettore, oppure dal Senato accademico a seguito di una preselezione da parte del medesimo Rettore); ciò ha dato luogo a un sistema suscettibile di pericolosi abusi e opacità, posto che, come nel caso del «Porcellum», una volta affrancati da un vincolo elettorale e da una conseguente responsabilità politica, i consiglieri-nominati divengono irresponsabili verso la comunità di riferimento e sostanzialmente obbedienti all’artefice della relativa nomina.

In una successiva e meditata fase di applicazione, per contro, molte altre università (Genova, Reggio Calabria, Parma, Pisa, Firenze, Politecnico delle Marche, Politecnico Torino, Trieste, Politecnico Milano) si sono discostate da un siffatto modello autocratico, assicurando al Cda d’ateneo una composizione di tipo elettivo; pertanto, dimostrando ben altro rispetto verso la dignità del Senato accademico e del corpo elettorale universitario. 

L’innovazione – manco a dirlo – è stata avversata dal Miur in sede giurisdizionale, al punto che il “tecnicissimo” ministro Profumo ha impugnato lo statuto della sua stessa università di provenienza (quale correttezza deontologica!), venendo però bastonato dal giudice amministrativo. Quest’ultimo ha ritenuto legittima la decisione di “ricorrere a meccanismi di tipo elettivo per la scelta dei componenti [del Cda], stante che […] i meccanismi di tipo elettivo sono oggettivamente idonei ad assicurare sia le funzioni rappresentative e partecipative, sia a svolgere un ruolo meramente selettivo”. Il Tar, in particolare, ha evidenziato come il meccanismo elettorale sia funzionale a una scelta il più possibile trasparente, efficace ed efficiente dei componenti del Cda. Infatti, “maggiore è il numero di voti che converge su un determinato soggetto maggiore è la probabilità che questi abbia le doti necessarie a svolgere l’incarico”; con la conseguenza che la scelta infine deliberata può dimostrarsi “di qualità e genuina (in quanto difficilmente condizionabile da indebite pressioni)”, oltreché esente dallo “svolgimento di lunghe procedure concorsuali” (Tar Piemonte, 30 agosto 2012, n. 983; in senso analogo TAR Liguria, 22 maggio 2012, n. 718).

Eppure, gli esiti nefasti del «Germinellum» e della versione sponsorizzata dal ministro Profumo non hanno tardato a manifestarsi. Caso emblematico è quello dell’Università del Salento. Il Rettore di tale sede, sebbene indagato dalla Procura della Repubblica per abuso d’ufficio e per varie forme di conflitto d’interesse, continua sprezzantemente a restare in carica. Ciò può fare, per l’appunto, proprio in virtù del potere ricevuto dalla riforma Gelmini, la cui applicazione gli ha consentito di vanificare ogni forma di controllo, sbaragliare le opposizioni e ottenere da un Cda indecorosamente remissivo l’approvazione di delibere sfrontatamente illegittime. 

4. Nonostante le pressioni interne al cambiamento, tale sistema (politico e universitario) è destinato a permanere incontrastato, a causa delle opposte resistenze avanzate dai vertici di comando e dai relativi apparati d’interesse, spavaldamente determinati alla conservazione dello status quo. Il tutto, con il conseguente duplice effetto: per un verso, quello di alimentare il disinteresse e la sfiducia da parte dei consociati; per altro verso, quello di trasformare le organizzazioni di consenso in oligarchie sempre più autoreferenziali, politicamente colluse e funzionali al mantenimento di un sistema potenzialmente dispotico e populista. 

E così, al pari dei partiti politici in ambito nazionale, anche le organizzazioni locali si sono trasformate in autostrade per accedere a incarichi e prebende diversamente inaccessibili. Beninteso, è in discussione non già la liceità delle operazioni, bensì l’opportunità del relativo slancio ideale. Se la spinta propulsiva di tali organizzazioni è facilmente addomesticabile e accomodabile, si apre una seria ipoteca sulla credibilità dei novelli rottamatori; troppo presto questi ultimi hanno imparato a replicare gli errore dei loro padri.

5. Le vie di fuga alla crisi del sistema non provengono più dall’interno della comunità istituzionale, talmente malato e rassegnato ne è il corpo sociale; derivano invece dall’esterno. Le pressioni dell’Unione europea, le indagini della procura e le inchieste giornalistiche oramai suppliscono al vuoto di controlli sociali, di azione politica e di affidabilità istituzionale, al quale un sistema dolosamente malato ha condannato il paese e l’università. Una volta avvelenati i pozzi, la stessa società civile fatica a sbarazzarsi dei dogmi del pensiero “eticamente corretto” e stenta a formulare un giudizio critico il più possibile realista e ragionevole.

6. Ecco perché sbaglia chi immagina che la crisi che attanaglia l’università riguardi (solo) una questione interna. Essa ripete nel piccolo la crisi in cui versa il paese intero, sicché l’una non potrà salvarsi senza l’altro. 

Per concludere, nella desolazione tratteggiata forse l’unica riscossa può provenire, paradossalmente, dall’anello più debole di una tale spietata catena di comando. Alla persona, a ciascuno di noi, è affidata la speranza della riscossa.

 


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