Ero arrivata in anticipo all’appuntamento fissato per le 12.30 di ieri dal Commissario d’esame. Volevo incrociare i miei ragazzi all’uscita dalla prova Invalsi di italiano e matematica per sapere, a caldo, com’era andata. Ho subito così un vero e proprio assalto: nel vociare convulso si distinguevano frammenti di frasi, parole smozzicate, lamenti circa la difficoltà di certe domande e poi, l’idrogeno… questo sconosciuto! E in coda, quasi a riportare la calma in mezzo a questa giustificata agitazione, uno dei miei alunni… “meno gloriosi”, butta lì un: “Ma no, prof, bastava ragionare!”.
Ecco qua, mi sono detta, la chiave di accesso inconsapevolmente dichiarata da questo ragazzino, dei famigerati quesiti Invalsi: verificare la capacità logica dei nostri alunni. È questo, probabilmente, che noi docenti ancora dobbiamo comprendere e su cui mettere in conto un lavoro serio e sistematico. Non mancano a riguardo sollecitazioni interessanti nella recente bozza sulle nuove Linee guida del ministero.
Al di là infatti di tutte le possibili notazioni critiche da segnalare a chi ha elaborato i test, occorre fare una riflessione ben approfondita.
Tutti i quesiti – parlo per il fascicolo di italiano ma credo valga identicamente anche per matematica – sottendono la stessa preoccupazione, perseguono il medesimo obiettivo: educare finalmente questi ragazzi ad un corretto uso della ragione, di cui la capacità logica è solo un aspetto. Ogni quesito è finalizzato a far prendere maggior consapevolezza della totalità dei fattori in gioco. Il metodo? Adesione rigorosa al testo, meglio, alla realtà del testo.
È proprio questo infatti, che i nostri ragazzi si scoprono non educati a fare: molto più centrifugati che concentrati, anche la loro curva di attenzione ha tempi brevissimi; non sanno formulare domande né mostrano curiosità per possibili risposte; la difficoltà rappresenta qualcosa di insormontabile, così che di fronte all’ostacolo si chiudono, si scoraggiano, scappano. È per questo che l’idrogeno non costituisce una sfida alla loro conoscenza, ma un contenuto pressoché inaccessibile e troppo impegnativo da penetrare, tanto più durante una prova d’esame.
E che dire poi della “trovata” del biglietto ferroviario (per certi versi più assimilabile a un quesito Ocse-Pisa che neanche ad un test Invalsi)? Anche qui è la ragione chiamata a confrontarsi nel vivo del quotidiano: come te la cavi ragazzo con un banalissimo biglietto ferroviario, tu che vivi in un mondo globalizzato e navighi senza confini di tempo e spazio davanti al tuo computer?
Gli undici quesiti di grammatica, infine, lanciano una sfida a qualsiasi docente di lettere disposto a farsi mettere in discussione nel merito del proprio lavoro.
Se è vero – come osserva nella prima parte della sua Grammatica discorsiva Daniela Notarbartolo – “che la colpa è probabilmente del modello grammaticale e del metodo didattico”, va detto altresì che è molto più comodo per noi docenti “accusare” l’eccessiva difficoltà dei quesiti di grammatica Invalsi che decidere di cambiare direzione riprendendo ad insegnare più sistematicamente la grammatica per troppi anni ignorata. Si tratta di una vera e propria svolta che dobbiamo avere il coraggio di compiere superando gli standard tradizionali cristallizzati in strutture che, se non superate, non raggiungono più l’obiettivo. “È necessario essere convinti − scrive ancora Notarbartolo − che questa trasformazione è richiesta dai fatti, e non solo dalla astratta preoccupazione per il modello teorico”.
L’Invalsi andrebbe quindi somministrata prima di tutto al corpo docente: è proprio analizzando i quesiti invalsi che si è costretti a prendere consapevolezza di quanti fronti andrebbero aperti per alimentare quel lavoro di corretto uso della ragione a cui più sopra facevo riferimento e che costituisce il punto trasversalmente nevralgico di ogni percorso educativo.