Non sarò tenero. I problemi della prova di maturità scientifica (ordinamento) non erano tali.
Il primo rappresenta un esempio paradigmatico di cosa non si debba fare. Le prime 3 questioni (su 4) non consentivano di verificare nulla delle capacità del candidato di strutturare una questione e lavorarci sopra mettendo in gioco conoscenze, tecniche, capacità di problem solving. Domandine banali, da quattro soldi, che fanno della analisi matematica ciò che non è e che invitano lo studente ignorante a dedicare pagine di frasi e conti inutili per fare ciò che si farebbe in poche righe.
Poi una domanda finale (il solito solido di rotazione) con una superficie che gira una volta da una parte e una volta dall’altra. Si mette in gioco qualche elemento concettuale, ma lo si nasconde dietro un generico “spiegando il perché” e si aggiunge che gli integrali non vanno calcolati.
Risultato: l’obiettivo di valutare le capacità di uno studente di affrontare una questione complessa e che richiama conoscenze complessive è mancato, ma in compenso, dove le commissioni lavoreranno male, si potranno considerare sufficienti prove ridicole.
Un po’ meglio per il problema 2 sul piano della complessità, ma anche in questo caso la domanda in cui potrebbero emergere le capacità di problem solving è al quarto punto. Comunque il problema 2 mette in gioco aspetti concettuali sul calcolo integrale, i primi 3 quesiti sono più dignitosi di quelli del 1° problema, le domande hanno tra loro un peso confrontabile.
Ricordo che quando si decise di riformare la struttura della prova di matematica introducendo il questionario e il problema, lo si fece sostenendo che la base era il problema e il questionario veniva introdotto come paracadute per gli studenti poco capaci di misurarsi con l’unitarietà e la complessità della matematica. Se si trasforma il problema in un questionario non ci siamo e l’aumento di voti positivi sul piano statistico sarà solo frutto del trucco di semplificare la richiesta.
Da qualche anno si sta imponendo il tema del costringere gli studenti (e di rimessa i docenti) a pensare al significato di integrale definito. Va bene, ma vediamo di non eccedere e di non trasformare il tutto in una moda mentre spariscono le questioni di analisi più raffinate e mentre sparisce un’altra moda degli anni passati (la geometria dello spazio). Che senso ha chiedere più volte la stessa cosa?
Finisco con il questionario: vario e alla portata degli studenti. Mi permetto però qualche spigolatura.
A) Le equazioni della matematica, quando vengono applicate alla fisica, devono rispettare il principio di omogeneità: somme di pere con le pere, argomenti delle funzioni trascendenti che siano numeri puri. Solo così si può dare una legge oraria e chiedere di derivare per trovare l’accelerazione. Lo si va dicendo dagli anni 70, ma nulla cambia.
B) Aumenterei questioni tipo la 10 che obbligano lo studente a ragionare sulle funzioni in maniera sintetica.
C) Ho apprezzato molto il problema di Erone, noto ai fisici, come il quesito del cane che deve andare da A a B ma prima deve bere alla riva del fiume. È il problema di Fermat sui cammini minimi da cui si possono ricavare le leggi dell’ottica geometrica. Chissà se i docenti della classe A049, che insegnano anche fisica, glielo avevano mai presentato. Continuare su questa strada.
D) Carino il quesito 6 che chiedeva di derivare una funzione che, se opportunamente semplificata, si riduceva ad una costante. Perché non chiedere, come si faceva in passato, di dare una giustificazione del risultato? Nella mia commissione si è invece scatenato un dibattito sulla liceità della semplificazione preventiva come se uno degli elementi da valorizzare nel risolvere una questione non fosse l’eleganza.
Chiudo rimandando ad un problema, un vero problema, di qualche anno fa in cui, a partire da un triangolo equilatero che veniva trisecato da segmenti che da ogni vertice confluivano nei punti di ogni lato opposto diviso in tre parti. Si formava un esagono irregolare con interessanti simmetrie. Un vero problema.