SPENDING REVIEW/ Università, ecco dove si annidano gli sprechi
Anche nella situazione di difficoltà in cui ci troviamo non ci possiamo permettere tagli in un settore già penalizzato dal calo dei giovani. Lo dice ANDREA CAMMELLI (AlmaLaurea)

Il dietrofront nella notte: la scure della spending review non si abbatterà sul settore scuola ed università, i temuti tagli per 200 milioni al fondo di finanziamento ordinario non ci saranno. Una sforbiciata che aveva messo in allarme docenti, studenti e sindacati, ma su cui sembrava possibile già ieri un ripensamento del governo. Alla fine la notte ha portato consiglio e ieri è arrivato l’annuncio che questa misura è stata definitivamente stralciata dal decreto legge. Tagli scongiurati, quindi, per un settore, dicono docenti e rettori, già sin troppo in difficoltà. Abbiamo assistito a levate di scudi da parte dei rettori che parlavano di “situazione apocalittica” se i tagli si fossero avverati mentre il ministero dell’Istruzione tentava di destreggiarsi fra le proteste con un comunicato sul suo sito che invitava a mettere da parte gli allarmismi. Come se non bastasse, il ministero doveva anche parare i colpi della polemica nata dal possibile finanziamento, sempre di 200 milioni, agli istituti paritari. Una coincidenza di cifre che nulla hanno a che vedere l’una con l’altra, come ha precisato il Miur in un comunicato. “Sono convinto – dice Andrea Cammelli, direttore del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea – che occorra tagliare su tutto, ma il capitolo dell’istruzione va difeso strenuamente, particolarmente l’istruzione universitaria e la ricerca perché rappresentano il futuro per il Paese. Anche nella situazione di difficoltà in cui ci troviamo non ci possiamo permettere tagli in questo settore. In Italia siamo al vertice delle graduatorie mondiali per calo di popolazione giovanile e proprio perché i nostri studenti sono così pochi dobbiamo investire in maniera maggiore. Naturalmente, il discorso non vale per le università che non funzionano: si faccia un’ analisti attenta e chirurgica e si tagli su ciò che non va. Abbiamo ancora miriadi di corsi universitari validi in cui i ragazzi vengono preparati in modo più che adeguato: su quelli dobbiamo investire per impedire che i nostri laureati vadano all’estero e che il nostro Paese subisca una frenata, non quest’anno, ma in futuro”.
La presenza di molti accademici nella fila del governo sembra, dunque, aver pesato sul ripensamento? “Io ero rimasto francamente sorpreso – continua Cammelli – che i molti accademici al governo che nei mesi scorsi avevano suggerito di investire sui giovani, avessero annunciato tagli. Seppure in gravi condizioni, non mi stupisce che l’Esecutivo sia tornato sui suoi passi anche sulla base del fatto che molte persone al Governo conoscano benissimo i nostri atenei”. Se si fossero attuati questi tagli, la situazione sarebbe stata davvero “apocalittica”, come era stata definita da molti rettori? “Il settore universitario sta già subendo sforbiciate da diversi anni – continua Cammelli – e sappiamo tutti che quando le risorse a disposizione sono scarse, occorre stabilire con cura gli obiettivi su cui apporre tagli. Immagino che non manchino gli sprechi, ma se si premiassero i corsi di laurea che producono un risultato migliore – Almalaurea li ha più volte valutati e abbiamo sottolineato le differenze – penso che faremmo compiere un salto in avanti al Paese, perché chi lavora negli atenei sarebbe invogliato a fare meglio”.
Come si collocano gli investimenti italiani rispetto a quelli europei? “In Europa siamo ai livelli più bassi di investimento, in termini percentuali di prodotto interno lordo – afferma ancora Cammelli -. Abbiamo un numero di laureati molto modesto: nella fascia di età fra i 24 e i 35 anni solo 20 ragazzi su 100 hanno conseguito una laurea. Un dato allarmante se lo si confronta con quello dei paesi avanzati che, invece, si attesta a 38. In più, le statistiche internazionali ci dicono che quando andiamo a studiare le percentuali di professioni di alta specializzazione, mentre tutti gli altri 26 dell’Ue proprio in questi anni di crisi hanno investito in maniera più pesante, l’Italia ha fatto esattamente il contrario. Questo ci impedirà di riprenderci appena cesserà la crisi internazionale perchè le nostre menti migliori saranno già fuggite all’estero”. Quali sono i campi che andrebbero finanziati in maniera più massiccia per farli diventare dei veri punti di eccellenza? “Abbiamo un ritardo storico e robusto sulle facoltà tecnico-scientifiche, che andrebbero curate in maniera capillare. Mi stupiscono, inoltre, le difficoltà occupazionali dei laureati in beni culturali in un Paese che custodisce il 50% delle bellezze storiche mondiali”.
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