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Home » Educazione » SCUOLA/ Solo i tecnici anni 50 e 60 ci “salveranno”

  • Educazione

SCUOLA/ Solo i tecnici anni 50 e 60 ci “salveranno”

Maria Grazia Fornaroli
Pubblicato 13 Agosto 2013
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Infophoto

Soprattutto la Lombardia ha promosso la cultura tecnica superiore, attraverso gli Its e gli Ifts. Una formazione che potrebbe preparare la vera svolta. MARIA GRAZIA FORNAROLI

Nella crisi generale dell’istruzione, valga più di tutto il nuovo interessante libro di Norberto Bottani, Requiem per la scuola?, non possiamo che guardare con stima al tentativo della scuola lombarda di promuovere la cultura tecnica superiore, attraverso la costituzione dei Poli tecnico professionali degli Istituti scolastici lombardi e la nuova programmazione dei percorsi regionali di Istruzione tecnica superiore (Its) e di Istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts). Di che si tratta?


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Le linee guida per la Riorganizzazione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore e la costituzione degli istituti tecnici superiori sono contenute nel DPCM 25 gennaio 2008 che dà attuazione alla legge 296, 27 dicembre 2006, art.1. L’istituzione del Sistema Ifts risale addirittura alla legge 144, 2 maggio 1999.


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Gli istituti tecnici superiori realizzano percorsi finalizzati al conseguimento di diplomi di tecnico superiore con riferimenti alle seguenti aree tecnologiche: efficienza energetica; mobilità sostenibile; nuove tecnologie della vita; nuove tecnologie per il made in Italy; tecnologie innovative per i beni e le attività culturali; tecnologie della informazione e della comunicazione. I percorsi hanno durata di quattro semestri, vi si accede con il diploma di istruzione secondaria superiore.

I percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore hanno di regola la durata di due semestri e sono finalizzati al conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore. Vi si accede con diploma professionale di tecnico o con promozione alla classe V superiore.


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Gli istituti tecnici superiori si costituiscono come fondazioni di partecipazione, con il seguente standard organizzativo minimo: un istituto di istruzione secondaria superiore, una struttura formativa accreditata dalla Regione, una impresa del settore produttivo di riferimento, un dipartimento universitario o altro organismo appartenenente al sistema della ricerca scientifica e tecnologica, un Ente locale.

Si sono appena concluse le esperienze dell’anno scolastico trascorso: nel biennio in via di conclusione 392 studenti hanno partecipato a corsi Its e 1095 a corsi Ifts, si prevede per il biennio 2013-2015 un ampliamento dell’offerta con l’apertura di nuove fondazioni (delibera regionale 125 del 14 maggio). Le nuove proposte potranno pervenire tra luglio e settembre e i corsi prendere il via tra ottobre e gennaio.

Regione Lombardia ha fatto e farà la sua parte, investendo e coprendo tra il 70 e l’80% dei costi.

In altre zone d’Italia i Poli si sono costitutiti ma minore è stato lo sforzo di investimento finanziario a carico delle Regioni.

Ciò che colpisce di questi percorsi è stata la possibilità, in un contesto così difficile come l’attuale,  di verificare la capacità da parte del sistema istruzione e formazione di promuovere alleanze feconde fra realtà formative diverse e aziende, decise a farsi carico concreto della formazione dei giovani, nell’ipotesi di costruire un percorso formativo, evidentemente finalizzato all’inserimento nel contesto lavorativo, ma anche capace di promuovere un gusto per la crescita personale, svincolato dall’esito immediato.

Colpisce nella costruzione dei percorsi l’attenzione al profilo in uscita, alle competenze acquisite, alla preoccupazione che l’anno o il biennio spesi sappiano sviluppare le potenzialità di ciascuno, in una prospettiva realmente in linea con ciò che chiede il sistema produttivo. Si tratta cioè di preparare tecnici assoluatmente innovativi su nicchie ancora produttive, senza dimenticare le aree della formazione più “generaliste”, capaci cioè di promuovere capacità logiche ed espressive di alto profilo.

Un modello di alto profilo tecnologico che sembra ripercorrere, rinnovandola, la grande tradizione degli anni 50 e 60 in cui il tecnico è stato sì figura professionalmente efficace, ma anche capace di interpretare un ruolo strategico di sviluppo.

Sono state numerose in questo biennio le esperienze sviluppate  nel territorio lombardo, da Pavia a Minoprio, a Bergamo, Varese e Milano, in contesti di filiere produttive di settori innovativi, in cui la bellezza e la cura degli ambienti e la passione dei docenti hanno saputo coniugarsi con tecnologie di ultima generazione. 

L’utenza di questi corsi è costituita, in alcuni casi, da studenti che hanno sperimentato l’insuccesso nei percorsi tradizionali e che hanno ritrovato in questa formula l’opportunità di far fruttar i propri talenti, recuperando, accanto a maestri disponibili a comunicare l’esperienza acquisita, il gusto dell’impegno lavorativo e dello studio. Una buona prassi di sussidiarietà. 

Si tratta di forme integrate di studio e di apprendistato, di veri e propri “arsenali”, per dirla con le parole di Giuseppe Bertagna, luoghi ove arte, tecnica e formazione possano esprimersi, integrando le conoscenze teoriche con la tecnica e il lavoro e confermando che, nel futuro, al tradizionale titolo di studio si potrà sostituire una buona formazione, continuamente rigenerata.

In questa esperienza si vede il superamento sia del paradigma fordista della fabbrica, che può invece diventare luogo di apprendimento organizzato, sia del sistema centralistico e autoreferenziale  della scuola e dell’università attuali.

Non resta che auspicare che nel prossimo triennio queste esperienze possano dilatarsi e interloquire anche con altri mondi della istruzione che, a paragone, appaiono ancora molto, molto ingessati.

(Maria Grazia Fornaroli)


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