Anche quest’anno il primo impatto con la scuola non è stato indolore: far ripartire la macchina è sempre impegnativo e i problemi – nella secondaria di I grado dove insegno, come altrove – sono talmente tanti che nemmeno i 400 milioni appena stanziati dal governo Letta possono servire a pacificare gli animi. Solo per dirne acuni:
1. la scia di concorsi e ricorsi che blocca le assunzioni dei dirigenti scolastici dalla Lombardia alla Sicilia: mancano, in buona sostanza, 1.124 presidi.
2. Non sono presenti all’appello parecchi colleghi nonostante a fine agosto le convocazioni per le nomine fossero già avviate. Il fatto è che il Miur ha deciso l’inserimento, tra le nuove nomine, dei vincitori del concorsone svoltosi lo scorso dicembre. Lo ha detto anche il ministro Carrozza che, da Cernobbio, ha informato del nuovo piano di assunzioni per stabilizzare i precari e per i vincitori del concorso.
3. Sarebbe anche questa la risposta istituzionale alla presa di posizione di molte agenzie scolastiche contro la Direttiva ministeriale del 27.12.12 più nota con la sigla Bes.
E che dire poi di altre problematiche, non certo meno gravi, in ordine alle politiche scolastiche condotte (o non condotte) dal ministero dell’Istruzione negli ultimi anni? Mi riferisco per esempio ai consistenti tagli di organico che sono all’origine di certi accorpamenti o verticalizzazioni; ai pesantissimi tagli del Fis (Fondo di istituto): più del 40% su tutta la didattica progettuale messa in atto dai docenti; mi riferisco alle classi, sempre più affollate; al crescente numero di alunni/e stranieri anche in fase di prima alfabetizzazione; alla insufficienza di spazi e strutture in grado di sopperire a tutte queste urgenze…
Ma non voglio proseguire oltre. Il 12 settembre, in Lombardia (e non solo) hanno riaperto i battenti le scuole: rischiamo quasi di scordarcene, pressati come siamo dal Moloch dell’istituzione che tutti ci macinerebbe se non fosse per l’irriducibile presenza, per la singolare personalità di quelli che sono – lo dico senza retorica – i veri protagonisti della scuola: gli studenti!
Durante l’estate ho mantenuto una corrispondenza con gli alunni che avevano concluso con me la prima media: diciamo che si trattava un po’ dei loro… “compiti delle vacanze”. Uno tra gli altri – e non certo dei migliori – mi ha scritto in stampatello incerto, sopra un foglietto giallo, queste poche righe: “Il mio anno scolastico con lei è stato positivo. Mi ha insegnato molto non solo a livello scolastico, ma anche affettivo e di simpatia. Sono maturato quest’anno e spero di dare sempre il meglio di me… Le voglio bene. Ci vediamo a settembre! Ciao, Mirko”.
Che dire? Per il visetto pallido e smunto, lo sguardo timido e impacciato di Mirko, solo per questo, vale la pena rientrare in classe, ridare fiato a questa avventura sempre nuova che si chiama educazione.
In uno dei suoi scritti, Saint-Exupéry, afferma: “Se devi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere legna e distribuire compiti. Insegna piuttosto la nostalgia del mare infinito”. Questa, che potrebbe apparire un’astrazione, nasconde invece la genialità di un metodo. Non è dall’organizzazione che possiamo trarre energia per intraprendere un nuovo cammino o per rimettere mano all’antico, perché il vero segreto è quella “nostalgia del mare infinito”.
Ma come si fa ad “insegnarla” questa nostalgia?
Qualcuno ci disse, più di trent’anni fa, che “l’educatore è tale se comunica qualcosa che appartiene a quell’orizzonte che si chiama con la parola più semplice che si possa usare: ‘io’. Sono educatore, se comunico me stesso” (L. Giussani, Realtà e giovinezza, la sfida, Sei, 1995). Forse è proprio questa la chiave di accesso al cuore dei ragazzi: dipendere dal proprio cuore. I ragazzi, all’inizio quasi inconsapevolmente, ma nel tempo in misura sempre più cosciente, sapranno riconoscere il vero adulto, fino − oserei dire − al maestro, proprio dal di dentro di questo, più implicito che esplicito, dialogo “amoroso”: quello che il cardinale John Henry Newman aveva sapientemente reso con il motto cor ad cor loquitur.
Ma anche il ventesimo secolo ci ha dato uomini veri, capaci di dialogare col cuore: Enzo Jannacci, che a tali uomini appartiene, percorre questa strada: conoscere, scoprire, penetrare la realtà intanto che la vivi! Non si sa “già”, non si sa “prima”, non si conosce “per sentito dire”… E così, nel testo di Io e te, una delle sue canzoni più riuscite, Jannacci ci dice che “la bellezza dei vent’anni è poter non dare retta a chi pretende di spiegarti l’avvenire, e poi il lavoro e poi l’amore…”
Chiudo allora con un invito: proviamo quest’anno a non “spiegare” ai nostri studenti la vita; rischiamo, invece, di viverla con loro.