SCUOLA/ Il papà oggi, questo grande assente
In risposta all’articolo di Antonello Vanni, un contributo per approfondire la figura paterna nel rapporto educativo. La riflessione di LORENZO ETTORRE

Leggo con piacere dall’articolo di Antonello Vanni la centralità e l’importanza della figura paterna nell’educazione dei figli. Ritengo questo uno dei temi più significativi sui quali è doveroso dibattere, specie nella società che viviamo e contribuiamo a modellare così spesso traboccante di paternalismo ma povera di paternità. Ognuno di noi, d’altronde, non sarebbe la persona che è se non avesse avuto l’impronta – reversibile ma incancellabile – della figura paterna che il buon Dio ha riservato per lui. Basterebbe questo per capire che parliamo di qualcosa di grosso.
Chi è, dunque, il padre? Nella formazione personale e psicologica dell’individuo il padre è colui dal quale dipende – giorno dopo giorno, dal primo giorno – la figura non ancora autosufficiente del bambino o del giovane ragazzo. Il padre rappresenta, per il figlio, l’incarnazione incosciente di una totale dipendenza. Non saputa ma vissuta, non affermata ma esperita. Non è un caso che la Chiesa da duemila anni ci fa chiamare “Dio” con lo stesso nome con cui chiamiamo nostro papà: padre, appunto. Così come neppure è un caso che la nazione nella quale siamo nati – per un paradosso soltanto apparente – siamo abituati a chiamarla madre patria: quantunque al femminile, è il tema della paternità che torna centrale (anche perché siamo sempre stati, e ancora siamo, un popolo profondamente maschilista). Comunque lo si voglia intendere, il padre rappresenta la figura che spiega e dà corpo alle nostre origini.
Nello stesso tempo, proprio per questo, il padre è anche la figura di riferimento ultima per il ragazzo, cioè colui al quale si risponde delle proprie azioni. Se esso è identificato in colui dal quale dipendiamo, è inevitabile che rappresenti al contempo anche il punto di riferimento e il termine di paragone con cui il ragazzo si confronta. “Dove vai?”, “con chi esci?”, “come è andata oggi a scuola?” sono solo alcuni piccoli esempi della legittimità che il genitore ha di chieder conto al figlio.
Ne consegue che la figura paterna – in ogni contesto educativo, sia esso la famiglia o la scuola – ha una funzione non solo importante ma determinante per la formazione totale e completa dell’educando. Quando il bambino diventerà un adolescente e scoprirà che il padre, prima osannato, appare ora insufficiente a fornire ragioni adeguate sulle origini e lo scopo ultimo della sua esistenza, è comunque di nuovo alla figura del papà cui si accosterà per comprendere e vivere il rapporto con Dio. Il ragazzo, infatti, capirà cosa vuol dire il rapporto con Dio a partire dal rapporto con la figura maschile che riconosce più centrale nella sua vita. Non può fare altrimenti, cosciente o non cosciente: per tutti noi è stato ed è così.
Quando questa figura viene a mancare – come in molte famiglie attuali – oppure quando essa è in forte e pericolosa minoranza – come nelle odierne scuole italiane, dove l’assenza dell’elemento maschile si riconosce anche dalla difficoltà di una sfida ferma e semplice che punti dritto al cuore dei giovani – si determina un disorientamento profondo nel ragazzo, che non è più introdotto al riconoscimento del legame originario e affettivo ultimo della propria esistenza. Non ha più, cioè, un termine di paragone adeguato con cui vivere il rapporto con il Padre.
Di nuovo: la Chiesa – antichissima e modernissima come sempre – queste dinamiche le conosce da tempo e non a caso ci invita a chiamare il suo capo papa, oppure Santo Padre. Dal punto di vista storico-etimologico il termine “papa” è infatti una parola di origine greca dal cui vocabolario è definita “parola onomatopeica che significa padre”, papà in senso familiare e affettuoso. Era il termine usato nei primi secoli del cristianesimo per rivolgersi ai membri del clero e soprattutto ai vescovi per avvicinare l’infinito; la successiva variante orientale è divenuta il termine patriarca (peraltro già in uso nella tradizione ebraica).
Gli effetti della carenza di figure maschili nelle famiglie e nelle scuole non sono immediati, hanno un raggio d’azione temporale a medio-lungo termine. Ma occorre non chiudere gli occhi dinanzi a questa emergenza, che già da tempo fa vedere i suoi frutti. Non possiamo combattere ideologicamente il Sessantotto perché ha distrutto l’autorità dei padri (i padri miei, come li chiamerebbe Gaber), e poi continuare ad avallare una cultura che fa dell’appiattimento delle differenze tra uomo e donna un perno della presunta moderna uguaglianza, quando altro non è che una maschera del potere per indebolire i legami esistenti e non permettere che ne nascano di nuovi.
Non basta difendere teorie giuste per dare il nostro contributo di uomini e di educatori: occorre avere il coraggio di imparare dall’esperienza e riconoscere che il padre e la madre – proprio a partire dalle differenze che li completano – sono entrambe figure essenziali nell’educazione dei giovani, e nessuna delle due può e deve mancare. Le spalle del papà e il seno della mamma.
(Lorenzo Ettorre)
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