Da anni lotto contro la filosofia tempopienista e predico contro il gigantismo del curricolo studentesco che in Italia è superiore di 1/4 rispetto a quello europeo. Invoco quindi in generale una drastica riduzione delle ore di lezione annuali e giornaliere. Ma se c’è una caratteristica assolutamente unica in senso contrario rispetto all’Europa è proprio la grande lunghezza delle vacanze estive che vanno dai primi giorni di giugno ai primi di settembre. Cioè tre mesi consecutivi di vacanza (fino al 1977 le vacanze estive in italia erano ancora maggiori, 20 giorni in più con inizio lezioni il fatidico 1° ottobre. Allora era ancora ampiamente diffusa la pratica del rimando a settembre, per l’esame di recupero, degli alunni con alcune insufficienze nella valutazione di giugno).
Più volte ho fatto e faccio notare ai sostenitori del tempopienismo che dichiarano di voler “sostenere la mamma che lavora” come questa mamma sia abbandonata nei tre mesi estivi, e nei 15 giorni di vacanze natalizie, e nei 7 giorni di vacanze pasquali. In quei periodi la povera mamma lavoratrice deve fare qualche straordinario per finanziare strutture di doposcuola o di intrattenimento private, o la baby sitter oppure lasciare i ragazzi soli in casa per giornate intere. Davanti a queste mie obiezioni il tempopienista “per amor di mamma” si ritira. Si inalbera invece il tempopienista “metodologo” che però è sempre più introvabile. Il tempopienismo vive ormai prevalentemente dell’amore per l’alto numero di posti statali che genera.
Non è strano quindi che sabato 22 febbraio un articolo del Corriere della Sera abbia attirato la mia attenzione per il titolo curioso: “Le poche vacanze degli alunni italiani” (di Antonella De Gregorio e Valentina Santarpia). Dopo questo annuncio nel titolo l’articolo sposta l’accento sul totale annuale dei giorni di scuola calendarizzati in Italia e pari a 200. Si dimostra, con vari confronti, come il numero sia ai vertici della classifica in Europa.
Questo confronto è fuorviante perché sia in Italia che in Europa in realtà le settimane di lezione calendarizzate per anno sono intorno a 35. In Italia, per convenzione, sono 33.
Duecento sono quindi i giorni di scuola stabiliti dal ministero che si riferiscono alle scuole senza il sabato libero (di solito medie e superiori) dove accade che le 33 settimane convenzionali moltiplicate per 6 giorni di lezione producano 33*6 = 198 giorni di lezione. Le ore di curricolo annuale in tutte le scuole, dalle elementari alle superiori, sono mediamente pari alle 33 settimane moltiplicate per 30 ore la settimana e cioè annualmente pari a 990 ore.
I nostri alunni di medie e superiori, senza settimana corta, vanno quindi a scuola mediamente 200 giorni l’anno per 5 ore al giorno, ma nelle scuole elementari, dove si svolgono 6 ore al giorno di lezione, le trenta ore settimanali sono raggiunte in 5 giorni e quindi i giorni annuali di frequenza sono 33*5 = 165.
Appare chiaro che il confronto proclamato sui giorni totali annuali nell’articolo è generatore di confusione se non demagogico. Si crea tensione e aspettativa inutilmente su un aspetto secondario. Perché?
Ogni istituto scolastico è libero, già oggi ed ormai da anni, di calendarizzare le lezioni su 5 o 6 giorni alla settimana e quindi apparentemente la chiave della settimana corta è nelle mani dei singoli istituti. Perché allora non viene generalizzata? Sarebbe davvero metterci in pari con la situazione europea tanto apparentemente agognata dalle solite cozze imbiancate: stavo per dire “sepolcri imbiancati” ma poi mi è sembrata una formula troppo solenne per usarla nella definizione del nostro giornalismo scolastico prevalente.
Il problema è che fare lezione su 5 giorni, mantenendo costante il numero di 30 ore settimanali, obbliga a svolgere 6 ore di lezione al giorno che, se consecutive, sono insopportabili per gli alunni e solo degli irresponsabili possono immaginarle. Eppure da noi alcune scuole medie e superiori hanno cominciato a farlo e si vedono sempre più spesso alunni prostrati uscire alle 14 da scuola. Ma perché non si procede allora, come nelle elementari, con 4 ore al mattino e due al pomeriggio ed una pausa pranzo di due ore? Perché questo implica il rientro pomeridiano di alunni ed insegnanti che viene rifiutato… da chi? In primis dagli insegnanti; come pure è malvisto anche dai giovani che vogliono un po’ di tempo libero.
La soluzione di tutto sarebbe semplice: fare, come in Baviera, 30 ore settimanali di 45 minuti, cioè sei moduli al giorno di 45 minuti, riducendo così a 4,5 ore l’orario giornaliero degli studenti senza alterare la proporzione tra le varie discipline e dando ad ogni docente un residuo di tempo docenza settimanale preziosissimo di 4,5 ore.
Cosa dicono di tutto questo le cozze imbiancate cioè il giornalismo scolastico prevalente? Niente!
L’articolo sembra prendere le difese dei nostri alunni nominando il pesante record apparente dei 200 giorni, ma senza nominare il gigantismo orario dei curricoli che è il vero problema. Così non viene caldeggiato un miglioramento delle condizioni di apprendimento dei nostri studenti. Anche l’esempio delle vacanze francesi dove vige generalmente il bimestre con 7 settimane di lezione e due di vacanza viene citato in modo assolutamente gratuito e non come obiettivo perseguibile per migliorare l’apprendimento dei nostri alunni e difendere la loro salute mentale. Quindi il confronto europeo sui giorni di scuola calendarizzati è solo un richiamo strumentale dell’articolo, che alla fine vuole porre esclusivamente il tema della restrizione delle vacanze estive e della dilatazione di quelle invernali.
Continuando la lettura si scopre che la vera proposta di modifica è creare, ad imitazione della Francia, lo spazio per la settimana bianca. In Francia le vacanze invernali sono ripartite secondo 3 zone territoriali: zona A (dal 1 al 17 marzo); zona B (dal 22 febbraio al 10 marzo) e zona C (dal 15 febbraio al 3 marzo). Si copia questa idea che da noi tra l’altro non è necessaria avendo dieci volte più montagne della Francia e ben distribuite sul territorio.
Niente di mostruoso, ovviamente, ma c’è un “però” invalicabile. In questi giorni parlavo con una mamma francese trapiantata in Italia che si lamentava proprio della mancanza dello spazio per la settimana bianca e mi chiedeva come mai da noi le vacanze sono tutte concentrate in giugno-luglio- agosto.
La risposta è misteriosa per gli europei ma noi sappiamo benissimo che in Italia la professione docente è sempre stata e continua ad essere il lavoro di chi vuole tante vacanze estive e pomeriggi liberi, con l’aggravante delle transumanze sud -nord-sud che spingono al ritorno a casa più lungo possibile. Di fronte a questa realtà i modi di procedere confusivi, allusivi, indiretti, trasversali non possono dare alcun risultato. Per decenni l’organizzazione scolastica è stata piegata a favore di indicibili comodità del personale docente e non docente. Qualunque correzione di rotta deve scontrarsi ormai con rigidissime e difesissime consuetudini sulle quali le ricette miglioriste, anche minime, seppur abilmente sostenute, hanno efficacia zero. Speriamo che il giornalismo scolastico se ne renda conto.
E le povere mamme che lavorano tutto l’anno salvo 4 settimane di ferie e non mandano i figli in vacanza cosa fanno e cosa faranno? Tutti le dimenticano al momento giusto. Eppure anche su questo la soluzione ci sarebbe. Gli istituti scolastici dovrebbero vedere lezioni a classe intera solo il mattino per 4,5 ore consecutive su 165 giorni annui, scelti con criteri di benessere per l’apprendimento e la salute degli alunni e delle famiglie, e restare aperti dalla mattina alle 7 fino alla sera alle 19 tutti i giorni lavorativi dell’anno. Ospiterebbero così sia le tradizionali lezioni a classe intera sia attività didattiche mirate, sia attività di intrattenimento conformi alle esigenze sociali. La spesa totale potrebbe essere quasi identica.
In queste direzioni purtroppo, per ora, le proposte dei difensori del grande valore culturale e sociale della scuola non si sentono.