E alla fine, cancellato in un sol colpo l’algido e compassato stile istituzionale, tra slide e frasi ad effetto, interessato (solo?) a catturare l’immediatezza del contatto col suo “popolo”, Matteo Renzi ha scelto la strada del “ghe pensi mi”. In nome della “cultura del fare”.
I 3,7 miliardi, infatti, destinati alla scuola saranno gestiti direttamente da Palazzo Chigi, non dal Miur. Il ministero, dunque, espropriato, anche se nel comunicato del governo si parla di “collaborazione”.
Sarà dunque una “cabina di regia” a gestire, per conto del premier, i contributi a favore dell’edilizia scolastica, per la messa in sicurezza ma anche per il rifinanziamento del Mof, cioè del “fondo di istituto”, quello che consente di finanziare le iniziative che integrano l’offerta formativa delle scuole, fondo negli ultimi anni sacrificato dagli ultimi governi per coprire altre spese, come, ad esempio, gli scatti stipendiali dei docenti. Buone notizie, dunque.
Tutto facile, sembra dire il premier. Perché questa è stata l’impressione durante la conferenza stampa: perché Renzi ha potuto dove a Letta, ad esempio, sembrava impossibile, o, al massimo, terreno di impegno futuribile?
Per questo motivo, credo sia giusto seguire tutta l’operazione del governo con la massima attenzione.
Entrando nel merito, sembra che la cifra stanziata consenta in tutto 10mila interventi, in collaborazione con i comuni e le ex-province.
E qui emerge un primo problema: le ex-province, quasi tutte commissariate, si troverebbero, d’un sol colpo, rimesse al centro della nostra struttura istituzionale. Perché da sempre è compito delle province gestire le scuole medie superiori, mentre i comuni sono tenuti a seguire le scuole del primo ciclo.
Molte province, ad esempio, si trovano oggi nell’impossibilità di finanziare interventi di edilizia scolastica per i vincoli del “patto di stabilità”. Perché, anzitutto, non sbloccare questi fondi? Perché le scuole non hanno solo il problema delle strutture degli edifici, ma anche quello della ordinaria manutenzione. Che i fondi assegnati annualmente non riescono a garantire, tanto che le stesse scuole si trovano costrette ad attingere al “contributo” annuale delle famiglie, ipocritamente definito, anche in recenti documenti del Miur, come “volontario”.
Una “cabina di regia”, dunque, dovrebbe analizzare il tema delle strutture scolastiche nelle loro effettività.
In questa “cabina”, ad esempio, perché non coinvolgere, oltre ai soliti burocrati e ai rappresentanti delle province e dei comuni, anche i presidi, cioè i diretti responsabili delle scuole? Per capire come stanno realmente le cose…
Quindi, le province, con questo intervento, non vengono più abolite. Si parla di consigli con al loro interno i rappresentanti dei comuni, come consiglieri, ecc., ma non è ancora chiaro con quali deleghe effettive, con quali risorse.
Oppure verranno abolite davvero, e le scuole superiori passeranno ai comuni di riferimento, con risorse inedite? Non ci sono informazioni, a proposito.
Ci piacerebbe, poi, conoscere i criteri che la “cabina di regia” adotterà sulla gestione delle risorse, in ordine alle domande che stanno già arrivando.
Tutto in fieri, perciò.
Sapendo, per completare il tutto, che ad oggi sono 8 le varie fonti ministeriali di finanziamento e ben 12 le procedure previste per la realizzazione di questi interventi. Sarà la volta buona per una effettiva semplificazione burocratica?
Comunque, ha assicurato il premier, questi interventi, “dalla tinteggiatura all’efficientamento energetico, ma anche per la totale demolizione…”, saranno sganciati dal patto di stabilità. Assieme ai fondi già in possesso delle ex-province? Non è detto. Anche se il premier ha precisato: “nessun sindaco avrà più il problema di non poter spendere somme che ha”. Battuta un po’ strana, se nel contempo tutti sappiamo che i vincoli del patto di stabilità sono quelli che consentono l’attuale 2,6% del rapporto debito/Pil, e dall’altra lo stesso premier ha dichiarato che intende utilizzare le risorse sino al fatidico 3%. La matematica, almeno in questo caso, non è un’opinione. A meno di non ottenere dall’Ue lo sforamento del mitico limite.
“La scuola, ha concluso il premier, deve essere un luogo da cui partire e in cui stare sicuri”.
In altri termini, l’edilizia scolastica è il prerequisito della vita scolastica, cioè della speranza di futuro dei nostri figli e del Paese. Un prerequisito, ma non la sostanza della scuola.
Forse non dovremmo mai dimenticarlo.