Come sappiamo, non è mai esistito un vero contrasto alle occupazioni studentesche da parte della magistratura e dei governi; quello attuale, anzi, le ha addirittura sponsorizzate per bocca del sottosegretario Faraone. Le forze dell’ordine, poi, si limitano in genere a qualche paterna raccomandazione. È facile quindi capire la frustrazione di chi nelle scuole ritiene doveroso opporsi a queste screditate e minoritarie forme di protesta, che si risolvono in un danno all’erario, al diritto allo studio e al prestigio della scuola statale.
D’altra parte, se con rare eccezioni le istituzioni si distinguono per la loro latitanza, questo può avere un lato positivo: quello di spingere le scuole a valorizzare la loro legalità interna. Infatti i terreni più importanti su cui lavorare sono due: favorire momenti di auto-organizzazione e di partecipazione degli studenti e rafforzare i regolamenti d’istituto con norme più incisive che scoraggino le occupazioni.
La scuola deve senza dubbio promuovere e valorizzare l’interesse dei giovani per la dimensione politico-sociale. Lo fa naturalmente attraverso lo studio delle materie scolastiche. Ma la previsione di giornate di riflessione e di approfondimento, concordate a inizio anno fra docenti e studenti su temi di loro interesse, può coinvolgere e gratificare i ragazzi molto più delle improvvisate autogestioni, a volte concesse all’ultimo momento per evitare l’occupazione. E ci sono varie esperienze positive in proposito, tra cui quelle del Liceo Newton di Roma, che hanno contribuito molto a evitare le occupazioni.
Un contributo indiretto nella stesso senso potrebbero darlo, se correttamente informati dalla scuola, i genitori, tra i quali c’è chi non vuol far mancare questa sorta di rito iniziatico ai figli, altri che si rivedono nostalgicamente in questi ultimi quando erano adolescenti ribelli; e c’è perfino chi pensa che le occupazioni siano una normale attività scolastica. Una loro presa di coscienza dei danni che le occupazioni causano — formativi per i ragazzi, finanziari per la collettività — potrebbe avviare un’efficace alleanza tra le due principali istituzioni educative.
Il secondo ambito su cui lavorare è, come già accennato, quello dei regolamenti d’istituto, in cui inserire norme che, insieme a sanzioni sufficientemente severe, possono sconsigliare le occupazioni. Si tratta di comportamenti connessi con queste ultime in genere non inseriti nei regolamenti, che sono stati pensati in relazione ad azioni del singolo studente, non a quelle di gruppo; ma questa assenza la dice anche lunga sulla grave svalutazione della disciplina e della fermezza nell’educazione di cui soffre da molto tempo la scuola. Gli insegnanti e i presidi devono impegnarsi a recuperarle, nella convinzione che farlo è nell’interesse educativo dei ragazzi stessi. Lo psicanalista Massimo Recalcati — tutt’altro che nostalgico dei bei tempi andati — esprime la stessa esigenza affermando che esiste anche “il diritto a essere puniti”, perché la punizione è a volte necessaria per comprendere “che la dimensione della libertà non è quella dell’assenza di limiti”.
È peraltro una questione di puro buon senso che nel regolamento della scuola vengano indicati come gravi mancanze disciplinari comportamenti come entrare o rimanere nell’edificio scolastico senza autorizzazione; interrompere o impedire lo svolgimento dell’attività didattica; entrare nella scuola forzando porte o finestre; impedire l’ingresso al personale della scuola o ad altri studenti. Andrebbero inoltre date ai docenti precise indicazioni su come comportarsi in caso di occupazione, sempre che per loro sia stato possibile entrare; e capita invece purtroppo che alcuni insegnanti, invece di richiamare gli studenti, solidarizzino più o meno apertamente con loro.
Sarebbe certo doveroso che indicazioni analoghe venissero dall’alto, rendendo meno faticoso il compito dei dirigenti e dei docenti. Ma anche senza questo sostegno, ciascuna scuola può ugualmente lavorare per offrire ai propri allievi un più solido punto di riferimento educativo e una cornice migliore per la loro crescita umana e culturale.