Anche quest’anno faccio il volontario nel doposcuola di prima media di un comune dell’hinterland milanese.
Nel primo incontro con i tre alunni a me affidati, che non hanno ritardo mentale ma carenze nel metodo di studio, nell’organizzazione e nell’attenzione, ho chiesto: “per curiosità, sapete cosa vuol dire only you?”. Tutti e tre hanno risposto “non lo sappiamo, non ce l’hanno insegnato”.
Allora ho precisato che si tratta di due parole, only e you. A questo punto la ragazza ha detto: “you l’ho già sentito ma non ricordo cosa vuol dire”. Piccola spiegazione mia, poi chiusura della parentesi e inizio del lavoro previsto. La settimana successiva ho chiesto di nuovo la stessa cosa. La ragazza mi ha guardato sorridendo e ha detto “non ricordo”. Un ragazzo invece ha risposto subito bene.
La ragazza non è priva di memoria, anzi, ed è la più organizzata dei tre. Ha il diario sempre compilato e porta il materiale necessario. Sa sempre cosa fare e ricorda tutto quello che avviene in classe. Gli “avvenimenti” li ricordano tutti perfettamente, le battute fatte, le reazioni dei compagni, quelle degli insegnanti. Ma i contenuti sembrano scritti sulla sabbia.
Questi tre alunni hanno seguito 400 ore di lezione di inglese nei 5 anni di scuola elementare!E quanto materiale di riflessione sulle modalità dell’apprendimento.
Tuttavia non è questo che mi spaventa. La cosa su cui bisogna riflettere è il clima vigente oggi nelle classi durante le mostruose sei ore quotidiane consecutive di lezione e la ricaduta di questo clima sulla mente dei giovani, sulla loro attenzione, sulla concentrazione, sulla memorizzazione, sulla riflessione.
Ebbene, il clima delle classi è generalmente (brilla sempre l’eccezione) caratterizzato da trambusto, turbolenza, polemica, spesso dal caos alternato a pause dovute alla stanchezza o al sonno dei giovani. Gli insegnanti giungono spossati al termine delle lezioni e gli alunni galleggiano o affogano per 6 ore tra le onde della vita di classe.
A questo siamo ormai giunti. E’ il punto di approdo di 40 anni di abbassamento delle mete educative e didattiche, ma soprattutto della scomparsa di una volontà davvero condivisa della società intera e del ministero di raggiungere mete di qualunque genere.
La lotta contro la selezione e le bocciature ha vinto. La scuola muore. Tutti lo dicono ma a nulla servono gli accorati dibattiti sulle prove Invalsi, sul sei politico, sul latino se non si prende atto di questa realtà e non si procede ad una riorganizzazione autentica della scuola partendo dalla condizione reale degli alunni, dei docenti e delle classi.
Certo il dibattito tra gli adulti sulle mete educative e didattiche non terminerà presto, le dispute sull’azione governativa e ministeriale non si placheranno ma bisogna mettere la vita delle classi almeno un po’ al riparo dalle turbolenze, tenendo conto innanzitutto delle enormi differenze nei livelli sia cognitivi che comportamentali presenti oggi in una classe in seguito all’abolizione delle bocciature.
Favorevoli e contrari alla ripetenza annuale si sono scontrati per decenni. Ma la promozione generalizzata ha assolutamente vinto nella pratica pur non essendo stata imposta giuridicamente.
In Francia la tensione tra mete didattiche, dinamiche relazionali e ripetenze viene risolta dando agli insegnanti il potere di valutazione ma ai genitori il potere di veto sulla bocciatura.
Da noi la via per combinare positivamente la tensione didattica e la crescita armoniosa coi pari età non è stata ancora trovata. Sappiamo però che le pluriripetenze sono catastrofiche e quindi anche l’utilizzo (a volte utile) di una singola ripetenza nei primi otto anni di scuola del singolo alunno non muterebbe la gigantesca eterogeneità nella composizione delle classi.
Qualcuno propone di eliminare l’ansia della vita di classe… eliminando le classi. Ciò con percorsi totalmente personalizzati di apprendimento e dinamiche di scuola basate sui laboratori fissi e la circolazione libera degli alunni. Mi sembra una soluzione illusoria, non solo per l’impreparazione del nostro sistema scolastico a realizzarla ma anche perché, a mio parere, l’appartenenza ad un gruppo-classe ben definito ed alle sue dinamiche umanissime ha un forte valore di riferimento sia per gli alunni singoli che per i docenti nella configurazione dei piani di lavoro concreti.
Certo un giorno le prove nazionali o planetarie sapranno fornire chiaramente, per tutti, standard adeguati, condivisi, e strumenti di lavoro e di verifica opportuni. Certo, ma quando? E nel frattempo? Anche la polemica con i no Tav un giorno cesserà con la scomparsa geologica assolutamente certa delle Alpi!
Forse nei rami più alti dell’istruzione secondaria la totale personalizzazione potrebbe funzionare, ma fino almeno alla seconda media credo di no. Per riorganizzare quindi i primi sette-otto anni di vita scolastica del giovane si potrebbero fare, senza bisogno dell’ennesima rivoluzione, alcune cose che diano stabilità e buon dinamismo insieme.
La prima cosa da fare sarebbe una definizione realistica e facilmente realizzabile del curricolo essenziale. A mio parere nella scuola primaria dovrebbe riguardare al massimo 20 ore settimanali ma potrebbero andare bene anche 15, cioè tre ore al giorno per cinque mattine della settimana. Nei pomeriggi si dovrebbero poi svolgere massicciamente attività di recupero mirato ed attività opzionali.
Inoltre alla finzione del 6 votato a maggioranza per garantire la promozione si dovrebbe sostituire la non finzione della promozione con voti reali in pagella, anche “insufficienti”.
La separazione della promozione dal voto e la trasparenza scritta in pagella sul voto reale attiverebbe la necessaria tensione didattica sia negli alunni e nelle famiglie, che nei docenti e nella scuola.
Il miglioramento dei livelli cognitivi reali avrebbe allora un significato chiaro e stimolante per tutti.