Ci risiamo. In vista delle iscrizioni al prossimo anno scolastico i tamburi tempopienisti riprendono a rullare. Il tempo pieno avanza sempre. Così sembra dimostrare la ricerca di Tuttoscuola, secondo la quale “il numero di alunni a tempo pieno nella scuola primaria si è incrementato del 55% rispetto al 2001. Allora frequentava il tempo pieno un alunno su cinque, oggi uno su tre. E’ un modello organizzativo di tempo scuola che piace sempre più alle famiglie italiane”, si osserva.
Davvero il tempo pieno è una necessità storica? Intanto il confronto tra gli attuali iscritti non è fatto con l’anno passato ma con molti anni fa. Rispetto ai dati dello scorso anno il valore nazionale degli iscritti al tempo pieno nella scuola elementare è praticamente identico e pari ad un alunno su tre, esattamente la percentuale che commentai in un articolo del 2014.
Inoltre guardiamo le eccezioni rispetto all'”inesorabile” aumento: “stabile la Lombardia (50,3%), la Sardegna (34,9%), la Puglia (15,8%) e la Sicilia (7,2%)”; “in flessione il Molise (7,0%), la Basilicata (47%) e il Piemonte (49,7%)”. “In leggero aumento la percentuale di iscritti anche in Toscana (49,7%), Emilia Romagna (47,8%), Liguria (47,5%), Friuli VG (39,9%), Marche (26,7%), Umbria (24,1%) e Abruzzo (15,3%)”. Infine, “il Lazio (52,8% complessivo di alunni al tempo pieno), il Veneto (32,2%) e la Campania (11,1%) hanno registrato un sensibile aumento”.
In realtà dunque un’analisi attenta dei dati evidenzia una sostanziale permanenza dei valori ed un declino tendenziale in Lombardia e Piemonte cioè dove maggiore è l’industrializzazione.
Lo sviluppo asincrono dell’Italia con l’altalena dei fenomeni che partono dal nord e si propagano al sud con un distacco di uno, due, tre decenni è la regola che mi è capitato spesso di osservare. E magari quando un fenomeno nato al nord lì comincia a declinare, raggiunge il massimo al sud. L’Italia è così. Ne dobbiamo prendere atto. Nei ministeri romani ciò dovrebbe spingere verso l’impostazione di un vero sistema flessibile con un nocciolo duro controllato ed efficiente ed una polpa local molto più morbida. Invece si continua a pensare al “contenitore” uniforme. Allo Stato “conchiglia” e non allo Stato “colonna vertebrale”. Ma sappiamo che la conchiglia è una fase evolutiva molto primordiale. Solo la colonna vertebrale garantisce la compattezza ed allo stesso tempo la varietà e la flessibilità.
La statistica che ispira il fatalismo storico stranamente non cita i dati relativi alla scuola media che sarebbe molto interessante conoscere. Per la scuola superiore la stampa ha già segnalato l’opposizione degli studenti alla settimana corta per non aumentare l’orario giornaliero delle lezioni che diventerebbe insopportabile.
Anche in questa occasione non mi resta che ribadire il grande inganno dei tempopienisti. Sfruttando le esigenze della mamma lavoratrice nelle città più grandi, essi cercano ossessivamente di espandere il lavoro a classe intera, che dovrebbe essere riservato al curricolo essenziale. Lasciano invece inalterata l’apertura della scuola che in Italia è di breve durata ed al massimo arriva alle 16,30, costringendo i comuni del nord ad istituire il prescuola ed il doposcuola anche a pagamento per le mamme lavoratrici.
Con la stessa spesa statale si potrebbe invece ridurre il tempo classe ed aumentare il tempo scuola libero e opzionale, come avviene in parte nella materna. Ma questo argomento semplicissimo è sentito con sfavore dallo statalismo tempopienista, che vuole il tempo corto per le insegnanti e quello lungo per i bambini.
In quegli ambienti c’è anche una forte ostilità al part-time, che invece è molto utilizzato in Europa. Il part-time per i genitori ovviamente sarebbe in contrasto con lo statalismo a conchiglia che vuole tutti inquadrati per accrescere se stesso e presentarsi come una benefica soluzione.
Ma fortunatamente il pendolo della storia continua ad oscillare e ormai non va in quella direzione.