“Cosa farai da grande?”. Quante volte, da ragazzi (parlo della mia generazione: anni cinquanta), ci sentivamo ripetere questa domanda e quante volte, con una sorta di esuberante spavalderia, rispondevamo, decisi, che avremmo voluto fare la maestra o l’infermiera se, come me, eravamo femmine; il dottore, il pompiere o il pilota d’aereo se, ad essere interpellati, erano dei maschietti. La cosa strabiliante, oggi almeno la riteniamo tale, era la sicurezza con la quale queste risposte venivano pronunciate: nessun indugio, nessuna esitazione!
Come mai, mi chiedo, ragazzini molto più sprovveduti di quelli del giorno d’oggi e all’apparenza più sguarniti, potevano immaginarsi già nei panni di un adulto al lavoro?
Certo, direte, quasi mai si realizzavano quei sogni, soggetti tra l’altro a rapidi mutamenti…tanto che, se il nonno, l’anno successivo avesse rivolto al nipote la medesima domanda, si sarebbe sentito rispondere in maniera tutt’affatto diversa!
Ma cosa c’entra questo preambolo, con il problema dell’orientamento così come lo ha evidenziato il sondaggio reso pubblico nei giorni scorsi da Skuola.net su un campione di circa 2.500 ragazzi che stanno concludendo il ciclo della scuola secondaria di primo grado e sono attualmente alle prese con la spinosa iscrizione (la scadenza è intorno a fine febbraio) alla secondaria di secondo grado e l’arduo problema di quale percorso scolastico intraprendere; cosa c’entra insomma la generazione degli attuali sessantenni (o giù di lì), con l’orientamento dei preadolescenti chiamati a scegliere la scuola superiore?
Eppure c’entra. Perché, io credo, il problema dell’orientamento è innanzitutto un problema di rapporto centrato con la realtà.
Negli anni cinquanta, a rappresentare la società, erano ancora adulti forse maggiormente in grado di “introdurre alla realtà totale” per citare una nota espressione di J. A. Jungmann che Giussani utilizzò nel primo capitolo del suo Rischio educativo e che recentemente è stata rilanciata da Papa Francesco durante un incontro con un folto gruppo di insegnanti. L’espressione serviva proprio a definire la parola educazione e Giussani precisava, nelle righe a seguire, che “la parola realtà sta alla parola educazione come la meta sta ad un cammino”.
Ed eccoci al punto. La questione è di metodo.
Per orientare veramente occorre aiutare i ragazzi a vivere il presente; aiutarli a fare i conti innanzitutto con la concretezza dell’oggi e non con l’astrattezza del domani. È infatti nel corso del cammino che si palesa la meta. Se si persegue invece una meta immaginata, si rimane per lo più frustrati e incerti di fronte all’emergere della propria inadeguatezza e incapacità: nessuno di loro si sentirà mai… all’altezza!
Non saranno certo test e questionari o l’analisi capillare e introspettiva di interessi e inclinazioni a mettere ordine nelle testoline confuse di questi tredicenni ormai alla soglia della scuola superiore.
E di che cosa avrebbero bisogno, allora? Non tanto di “istruzioni per l’uso” quanto piuttosto di un criterio con il quale cominciare a paragonare le esigenze del proprio cuore.
È a questo punto che si evidenzia, ahimè, il deficit dei nostri adulti spesso incapaci di fornire un’ipotesi di senso totale della realtà, unica condizione di certezza per l’adolescente.
Ecco due brevi esemplificazioni che aiutano forse a chiarire meglio quanto intendo sostenere: si tratta di alcune osservazioni, confidenze, dialoghi di miei alunni sollecitati sul tema, appunto, dell’orientamento:
“Ammetto di essere piuttosto disorientata e intimorita rispetto a questo argomento. Scegliere la scuola superiore per me è un grande passo. Gran parte della mia confusione e angoscia sono date da quello che succederà dopo: ho il timore di scegliere la scuola sbagliata per me! E non pensiate che i miei dubbi siano infondati!” Dopo aver accennato ad alcune ipotesi di percorso, le considerazioni si concludono così: “Credo tuttavia di non poter ancora scegliere: devo prima chiarirmi bene le idee”. Il come chiarirsele non viene esplicitato, ma la speranza sembra essere affidata a un’analisi più che a un’ipotesi da verificare “sul campo”.
E sentite invece un compagno: costui, che non può certo vantare una situazione familiare serena, ha tuttavia ricevuto — senza che né lui né i componenti della famiglia ne fossero in qualche misura consapevoli — un certo criterio che ha potuto costituire almeno una iniziale ipotesi di verifica: un impatto diretto con la realtà e non con delle… idee!
“Io vado alle M. per fare il cuoco. Per me cucinare è sempre stata una passione e il mio sogno è aprire un ristorante con mio padre… Certe volte, per allenarmi, aiuto mia mamma a cucinare e anche a fare i dolci. Quasi tutta la famiglia di mio padre, sono bravi a cucinare e certi posseggono pure un ristorante. Mia madre ha imparato certi piatti solo grazie a mio padre, soprattutto i dolci… Purtroppo mio padre adesso è in prigione e non può insegnarmi lui! Tu invece che scuola frequenterai? Qual è il tuo desiderio?”
Ecco la grande domanda che troppo spesso rimane inevasa o alla quale non si ha neppure il coraggio di accedere: “Qual è il tuo desiderio?” Proprio questo — io credo — costituisce il livello sul quale l’adulto potrebbe e dovrebbe intervenire, per consentire al “germoglio” di dare frutto anziché rischiare di seccarsi subito.
Si tratta insomma di sostenere e indirizzare il ragazzo a reperire, nella realtà quotidiana, quei segnali che gli accendano un desiderio, che gli facciano presagire un gusto, per i quali avverta il nascere di un’attrattiva. Sono quelli che vanno seguiti e per-seguiti anche se, chi li ha suscitati, non si trova al proprio fianco ma… in galera!
Non è dunque da una riflessione che può scaturire una decisione, ma da “un impegno personale di verifica dell’ipotesi suggerita”.
Occorre dunque qualcuno da guardare e da seguire: qualcuno che documenti, nell’esperienza, come anche l’errore — qualora dovesse capitare — sarà bruciato via dal rischio che la propria libertà ha deciso di correre per vivere finalmente, senza angosce e paure, la “bella avventura” della conoscenza.