In un articolo apparso nel febbraio scorso sulle pagine culturali del Sole 24 Ore lo storico Sergio Luzzatto, teorico dell’altra storia e dissacratore dei miti, ha detto una cosa giusta. Interrogandosi sullo stato dell’insegnamento della storia nella scuola, ha osservato che “il passato può parlarci soprattutto se raggiunto attraverso un percorso a ritroso, se interrogato a partire dalle domande del presente”.
Perché giusta? Perché fa comprendere, quando ce ne fosse ancora bisogno, che la materia “storia” è il campo in cui si intrecciano non solo varie forme del sapere, ma soprattutto l’umanità dell’alunno con l’umanità di chi gli sta accanto, compresa quella dell’insegnante o degli insegnanti che lo accompagnano nel cammino degli studi.
La storia insegnata è perennemente in crisi da quando, ormai un secolo fa, gli annalisti francesi decisero che la narrazione andava sostituita con strutture, società e fenomeni di lunga durata. I manuali in questo modo si arricchivano di materiali complessi privilegiando, come spesso ancora succede, le fasi spazio-temporali. Non avendo un terreno sicuro sul quale muoversi, gli studenti si impoverivano affogando nel guazzabuglio dei piani storici sovrapposti, ardui da imparare. Che fare?
Ecco allora spuntare un’altra novità sul piano della didattica: la storia, è stato detto, non si impara, ma si osserva, si discute, si fa con la ricerca. Suggerimento stimolante che non sempre si è tradotto in interesse e consapevolezza dello studente. La ragione, per riprendere la citazione iniziale, è che anche la più semplice avvertenza presente nelle Indicazioni ministeriali di scuola primaria e secondaria di I grado, secondo le quali è bene partire sempre dalla storia personale dell’alunno e della sua famiglia per poi dispiegare ai suoi occhi i grandi quadri di civiltà, viene ridotta a didatticismo. Non c’è la persona dell’alunno, ma l’attività che in qualche modo lo deve vedere coinvolto.
Anche in questo caso si spendono grandi energie, specie da parte degli insegnanti più meritevoli, con risultati non sempre soddisfacenti. E i compiti a casa di storia, quando ci sono, sono sempre un’impresa ardua, perché se non implicano la ripresa di un argomento di cui si sia colta la ragione in classe, sono ridotti ad apprendimento mnemonico di concetti astratti mutuati dal libro di testo.
La storia è una forma di conoscenza, approssimativa quanto si vuole, ma pur sempre grande contenitore di vicende umane che la ricostruzione dello storico squaderna davanti ai nostri occhi. Dove cominciare per afferrarne il filo che si dipana attraverso i secoli? Qualunque porta di accesso può essere utile per addentrarsi nel patrimonio di fatti, culture e forme di società che ci hanno preceduto. La storia insegnata non può rinunciare ad alcune caratteristiche proprie della grande storia esperta, pena il suo abbassamento a racconto fiabesco o, su un altro versante, al suo assorbimento nella filosofia.
Una prima caratteristica è proprio la profondità del tempo che abbiamo alle spalle e che si dispone come un fiume in un punto del quale siamo immersi anche noi. Una seconda è il tema della causalità e consequenzialità dei fatti: qualcosa è accaduto che ci ha resi quello che siamo. Una terza è la disposizione nello spazio di ciò che è successo. Oggi va molto di moda la terza, si parla appunto di “storia nel mondo globalizzato” e di nesso tra la storia e la geografia, ma non dovrebbero essere perdute le altre peculiarità.
Il dialogo con i ragazzi sul loro/nostro presente è dunque fondamentale, non solo come spunto per passare alle routinarie spiegazioni, ma perché la storia è proprio una coscienza delle profondità di cui è ricco il presente. Come due specchi posti uno davanti all’altro riflettono l’immagine frapposta moltiplicandola per mille, così la storia dilata la nostra umanità affratellandoci ai nostri predecessori. Siamo sempre noi, la pasta di cui erano fatti è anche la nostra. Ma se siamo qui nonostante tutto è perché qualcosa è successo che ha dato senso alla nostra varia, problematica e pur appassionante convivenza tra esseri umani.
L’insegnante dovrebbe essere il primo portatore di questa consapevolezza, perché il primo riflesso nello specchio della classe è la sua faccia. Se ha non solo competenza (che può crescere col tempo), ma soprattutto profondità, allora la storia diventa una bella avventura. E anche i compiti a casa uno spasso. O quasi.