A che serve un esame che non boccia nessuno? Comincerò da qui. La prima volta che è stata detta la battuta poteva essere intelligente, ma poi è stata instancabilmente ripetuta da tutti. E allora, quando una cosa viene ripetuta troppo, fa venir voglia di guardarci dentro, magari di rovesciarla. Perché un esame dovrebbe per forza bocciare?
Dipende da che esame è. Se è un esame di concorso, ad esempio, ha senso che bocci: deve selezionare, e non in base alla qualità dei candidati, che potrebbero anche essere tutti almeno passabili, bensì in base al numero dei posti da assegnare, a costo di lasciar fuori anche qualche semigenio. Vediamo un po’: ci sono stragi agli esami di certificazione delle lingue? Non mi risulta. Questo perché chi prepara i candidati li dissuade dal sostenerli, qualora non fossero preparati. Le scuole di musica, quando era possibile farlo, presentavano agli esami di Conservatorio solo gli allievi che avessero altissime probabilità di essere promossi, diversamente l’insegnante non dava il suo necessario avallo. E allora perché dovrebbe essere scandaloso che l’esame di stato bocci poco, visto che esiste l’istituto dell’ammissione e che non si tratta di un esame di concorso? Non bocciando, ha esaurito la sua riserva di senso?
La conclusione è un po’ troppo sbrigativa, soprattutto se si considera il contemporaneo proliferare di esami in cui non pare che la bocciatura sia la regola. Molti esami universitari, ad esempio. Sempre ad esempio, osserviamo attentamente le materie di insegnamento dei docenti che hanno firmato il famoso appello in favore dell’Italiano: materie umanistiche, per la grande maggioranza. Non devono essere così severi, i loro esami, se ci si lamenta della scarsa conoscenza della lingua dei laureandi, di quelli, cioè, che di esami, e di carattere umanistico, ne hanno superati un sacco.
E allora, perché la scure dovrebbe cadere proprio sull’esame finale delle scuole superiori? E poi, che cosa si vuole? Che sia più severo? Che lo sia di meno? Non è dato di capirlo, visto che coloro che ne deplorano lo scadente lassismo si affrettano spesso, in pochi giri di frase, a invocarne la semplice abolizione. Per ottenere che cosa? Maggiore severità? Maggiore serietà degli studi? Voti più contenuti delle attuali medie, gonfiate da criteri di adattamento al calcolo dei crediti?
Chi davvero, in buona fede, lo pensasse, sappia che non è la cura giusta. Nonostante tutti i suoi limiti, l’esame di stato rappresenta ancora un ultimo, debole baluardo nei confronti della spinta al rialzo (dei voti) e al ribasso (delle conoscenze) proveniente da dirigenti e famiglie. Togliete ai docenti delle materie caratterizzanti dei vari indirizzi anche l’esame di stato, o affidatele sempre e soltanto a commissari interni, e in breve tempo le materie suddette semplicemente spariranno, in un trionfo di nove e dieci e nella decimazione spietata delle ore effettive di lezione, che potranno essere ingoiate senza ritegno da qualunque altra attività.
Tre dovrebbero essere le principali funzioni degli esami: correggere quando necessario, anche a garanzia dello studente, la valutazione della scuola; fornire alle scuole un parametro per tenere sotto controllo il livello in uscita; garantire a studenti e famiglie che l’istituzione scolastica che ha ospitato i giovani per tanti anni (la gran parte dei quali obbligatori) ha svolto il suo lavoro in modo oggettivamente accettabile, condiviso e non meramente autoreferenziale. E’ difficile pensare che studenti e famiglie, che tanto di sé spendono nella scuola, non ne abbiano il diritto. Su che dovrebbero basarsi altrimenti, sulla propaganda degli open day? O sulla famosa concorrenza tra scuole, i cui sostenitori sembrano dimenticare che i cittadini italiani non abitano tutti in grandi città con scuole di ogni indirizzo distribuite su ogni linea della metropolitana, ma in località di provincia in cui la scelta è quasi obbligata e il confronto impossibile? Se si vuole un esame appena un po’ più serio, basta farlo fare a commissioni tutte esterne. Ciò non basterebbe a renderlo perfetto, ma migliore certamente, specie in tempi — questi — in cui la pressione dei dirigenti sugli interni è aumentata ed è verosimilmente destinata ad aumentare ancora.
Ma perché non buttar giù tutta la baracca e non passare direttamente a test nazionali tipo Invalsi, si dirà. Questo è tutto un altro discorso. Probabilmente il futuro sarà questo ma, al di là delle valutazioni e delle attente discussioni che comunque il tema merita, il fatto è che gli strumenti adatti a tal fine sono ancora in via di costruzione. Quando ci saranno ne parleremo, ma per ora … non ci sono.
E quindi? Quindi avremo il nuovamente miniriformato esame, ancora piuttosto oscuro nei particolari, per la verità, ma, a quanto è dato sapere, non pensato per essere più severo ed oggettivo. E così, gli studenti avranno la soddisfazione di terminare i loro lunghi anni di studio con una prova pubblicamente screditata, di cui il giorno dopo tutti i giornali diranno che fa ridere i polli, soprattutto a causa del menefreghismo e dell’incredibile mancanza di serietà degli insegnanti.