Caro direttore,
Ernesto Galli della Loggia con il suo recente articolo dal titolo “Le scuole italiane e il tabù della bocciatura” pone una questione vera e su cui si dovrebbe intervenire in modo non scontato e ripetendo diffusi modi di dire, ma entrando nel merito con puntualità e chiarezza di giudizio.
E’ ora di uscire da logiche ormai superate che da una parte chiedono la severità e dall’altra ripropongono anche se in modo sotterraneo il 6 politico.
Ecco perché vorrei fare alcune osservazioni sulle questioni poste dall’editorialista del Corriere.
La prima riguarda l’inclusione, che non significa che non bisogna lasciare indietro nessuno, ma l’esatto contrario, che bisogna impegnare tutte le energie presenti nella scuola per permettere a tutti di compiere ciò che potenzialità e competenze personali dovrebbero permettere. Si deve allora dire che il mondo della scuola o non ha capito o ha ridotto il fenomeno dell’inclusione ad una promozione indiscriminata di tutti. Inclusione invece è una categoria che avrebbe dovuto trovare impegnati tutti gli insegnanti e i dirigenti a trovare nuove risposte agli svantaggi e alle difficoltà di apprendimento; è quindi un fattore dinamico della vita scolastica e non deve essere visto in modo negativo, ma propositivo, come tentativo di trovare in ogni studente o studentessa ciò che lo renda capace di realizzarsi come persona e come tensione ad accompagnarlo in questo percorso.
Questo porta alla seconda questione che è la valutazione e il cui processo è stato fuorviato da una cattiva interpretazione dell’inclusione. La valutazione rimane il punto debole del sistema scolastico italiano e non per il fatto che in Italia farsi bocciare è un’impresa, ma perché abbiamo una classe docente che fatica a valutare. E la ragione non è ideologica, ma risiede nel fatto che spesso gli insegnanti spiegano e spiegano, senza sapere ciò che val la pena imparare. Per questo non sanno valutare, perché non hanno un giudizio sintetico su ciò che comunicano. Si deve recuperare e al più presto lo stretto legame che vi è tra spiegazione e valutazione, perché solo così si potrà valorizzare e/o correggere il lavoro fatto da studenti e studentesse.
Per quanto riguarda l’alternanza scuola-lavoro la questione è molto semplice: si naviga a vista. Valutare quello che studentesse e studenti stanno facendo in modo così complesso è realmente un’impresa. Non è semplice passare da un sistema in cui valutare significa dare un giudizio su una parte di programma svolto ad un sistema in cui si devono identificare e valutare le competenze di uno studente o una studentessa che di norma fa almeno cinque attività. Il rischio di ridurre questa valutazione ad una ratifica delle presenze è molto alto; del resto oggi non sembra esserci altra strada, bisogna trovarla.
Da ultimo non condivido il giudizio negativo che Galli della Loggia dà a quell’apertura all’esterno che lui chiama universalismo, perché secondo me potrebbe rappresentare la marcia in più della scuola, a condizione che sia in funzione della crescita della persona. Qui sta il criterio discriminante, non se fare di meno o fare di più, ma lo scopo per cui si fa. Ha ragione Galli della Loggia a sostenere che spesso le attività che si fanno a scuola sono un puro accatastare cose su cose, questo è un difetto di chi le fa, perché invece le attività rivolte all’esterno come quelle di studio sono per far crescere l’umanità di ogni singola persona. Questo è ciò che si è smarrito, che si studia o si fa uno stage come occasione per crescere, questo è ciò che si deve recuperare, e che si studi una pagina di matematica o si lavori a mettere a posto un archivio in una biblioteca la questione è la stessa, come questo fa crescere la persona che vi è impegnata.
Sono solo alcune osservazioni per un dibattito sulla valutazione che spero vada avanti perché di chiarirci le idee in proposito ne abbiamo bisogno.