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Home » Educazione » SCUOLA/ Le tre Italie dell’Invalsi chiedono un nuovo sistema di governo

  • Educazione

SCUOLA/ Le tre Italie dell’Invalsi chiedono un nuovo sistema di governo

Sergio Bianchini
Pubblicato 20 Luglio 2017
scuola_esame_maturita_4_lapresse_2016

Scuola (LaPresse)

Nel commentare i dati Invalsi normalmente si sottolinea la differenza nei risultati tra nord e sud ignorando il centro. Questo semplice fatto induce qualche considerazione. SERGIO BIANCHINI

Caro direttore,
leggendo i commenti ai risultati delle prove Invalsi emerge chiaramente uno schema mentale che impedisce di comprendere davvero e a fondo i dinamismi dello Stato e della scuola in Italia.

Tutti sottolineano la differenza nei risultati tra nord e sud. Ma è una differenza che non deve sorprendere. Al contrario sarebbe sorprendente una omogeneità dei risultati, visto che sotto tutti i profili il divario secolare, socioeconomico tra le due aree tende a crescere. 


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Alcuni commenti dal riconfermato divario deducono quasi ritualmente la necessità di un maggiore impegno risanatore della politica. Altri si compiacciono, tra le righe, della superiorità scolastica delle regioni settentrionali: il nord eccelle, il sud arranca.

In entrambi gli approcci scompare la presenza assai significativa di un’area fondamentale, il centro Italia. I dati lo caratterizzano chiaramente, ma lo schema mentale prevalente, basato o sul meridionalismo o sull’antimeridionalismo, oscura la realtà che, invece, si fa continuamente largo. 


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Riporto i dati nelle prove di italiano e matematica nel secondo anno di scuola superiore: Piemonte 202-205, Liguria 205-206, Lombardia 211-215, Veneto 212-218, Friuli V-G 209-214, Emilia-Romagna 203-208, Toscana 201-203, Umbria 203-205, Marche 202-206, Abruzzo 199-196, Molise 199-196, Campania 198-189, Puglia 192-190, Calabria 180-179, Sicilia 186-179, Sardegna 177-174.

Osservando attentamente i dati sono chiare le tre aree fondamentali dei valori misurati: nord, centro e sud. La più variegata al suo interno è la realtà settentrionale, dove la differenza dei punteggi tra Lombardia e Piemonte è un segno forte, mentre le altre due aree mostrano una maggiore omogeneità interna, mentre c’è un sud che si avvicina a valori medi e un altro sud che se ne discosta con le due isole maggiori.


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Come mai non si percepisce o si oscura l’esistenza e la specificità del centro Italia?

Forse la fretta nello scavalcare questa presenza rivela il disagio e l’incapacità di prospettare la comprensione ed il futuro dello stato e della scuola al di fuori dello schema consueto e ormai inaridito che conosciamo. Lo schema cioè dell’aiuto infinito al sud derelitto, da un lato, e dello sganciamento da questo asfissiante obbligo morale dall’altro.

Sia la storia plurimillenaria della penisola che quella del dopoguerra evidenziano invece la granitica esistenza fondamentale di tre Italie dalle caratteristiche fortemente definite. 

L’Italia centrale non solo esiste come dato socioeconomico, culturale e statistico, ma è probabilmente il terzo fattore di equilibrio necessario per comprendere il nostro passato e per delineare qualunque evoluzione reale e possibile del sistema Italia.

Personalmente penso che la costituzione di tre macro-regioni con competenze determinate sulla scuola, che già oggi è stabilita nella Costituzione come competenza concorrente tra Stato e Regioni, ed una regia snella ed efficiente dello Stato centrale potrebbero farci uscire dallo stallo amministrativo e gestionale del sistema scolastico in cui ci troviamo. Probabilmente la dimensione macroregionale consentirebbe davvero e senza traumi l’applicazione dell’articolo 117 della Costituzione, che fino ad oggi non è stato impugnato dalle troppo limitate realtà delle attuali Regioni, neppure da quelle accusate di maggiore “secessionismo”.

L’articolo 117 ha una formulazione molto chiara sulla scuola, che viene inserita tra le competenze concorrenti Stato-Regione. Questa concorrenza lascia il primato alle Regioni, visto che il testo costituzionale precisa: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Con questa formulazione è evidente che un’opposizione legale, da parte di qualunque Regione, ai meccanismi organizzativi ministeriali della scuola porterebbe, come minimo, alla paralisi del sistema e comunque costringerebbe il ministero a trattative bilaterali con qualsiasi regione su tutto ciò che riguarda l’organizzazione concreta della scuola, dai concorsi alle supplenze, ai trasferimenti, al finanziamento delle scuole non statali. Cioè a tutto ciò che ci tormenta da decenni.

La domanda è: come mai tutto questo non avviene?


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