SCUOLA/ 2018, amici e nemici di pluralismo e parità

- Maria Grazia Colombo

Il pluralismo scolastico, che dovrebbe essere il principio guida dell'istruzione italiana, è ancora di là da venire. Occorre ripartire dalle famiglie per voltare pagina. MARIA GRAZIA COLOMBO

scuola_studenti_2_lapresse_2017 (LaPresse)

Inizio anno, punto di arrivo e di ripartenza per tante scelte ed interessi. Si fanno bilanci, si ripercorrono i giorni trascorsi e si tracciano prospettive future. Il tempo e lo spazio sono come una liturgia che educa a spalancare gli occhi e il cuore per affrontare la realtà delle relazioni sempre più importanti e sempre più complesse che riempiono la nostra vita. E per noi genitori la sfida è sempre più seria e nello stesso tempo affascinante. L’educazione è un fatto bello, ma noi genitori ne siamo convinti? Siamo convinti che l’essere genitori sia un vantaggio?

Averne certezza cambia tutta la prospettiva di lavoro educativo con i figli ma soprattutto tra gli adulti educatori. I genitori sono o possono essere un positivo elemento d’integrazione orizzontale tra diverse realtà o istituzioni interessate, in quanto incentivano il valore della socializzazione che, insieme a quello educativo, caratterizzano l’identità stessa della scuola e della formazione. Quindi una scuola quale luogo “interessante” per i genitori che con curiosità e competenza si rimettono ad imparare per essere “più” genitori. 

Per tutto lo scorso anno, attraverso il progetto” Immischiati” ne ho incontrato migliaia con i loro docenti e dirigenti in tantissime scuole del nostro Paese. Li ho incontrati nelle loro scuole da Gorizia a Castelvetrano, scuole statali e scuole paritarie ognuna con la propria caratteristica; le scuole infatti non sono tutte uguali, sono molto diverse proprio perché forgiate su comunità civili e religiose diverse con storie e culture diverse. Scuole veramente pubbliche cioè di tutti, cioè del popolo. Sì perché l’educazione si basa su scelte private ma è un bene per tutti: i genitori attraverso le scelte educative entrano nella scuola e ne costruiscono insieme agli altri genitori e ai docenti l’identità. Non dobbiamo e non possiamo stare a guardare: l’ambiente educativo scolastico non è fuori dalle mura scolastiche ma è l’insieme dei rapporti da costruire o ri-costruire che animano la scuola e la rendono veramente pubblica.

Ma all’inizio di questo nuovo anno c’è una questione che ancora non ci lascia in pace e riguarda la libertà di scelta educativa. Tutti sappiamo bene che ci stiamo avviando ormai da anni ad un monopolio educativo scolastico di stato. E dire “di stato” non vuol dire pubblico. La libertà religiosa e la libertà di educazione hanno la stessa radice e se andiamo a rileggere l’articolo 3 della Costituzione capiamo bene la gravità della situazione che stiamo vivendo. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale (…)”. 

E’ chiarissimo che non è una questione di competenza solo del Miur, ma di tutta la comunità del nostro Paese. Non riguarda i cattolici e le loro scuole o il Vaticano, ma ciascuno di noi e la nostra società sempre più povera educativamente e culturalmente. La società civile ha il primato sullo Stato, chi lotta contro le scuole paritarie vuole uno stato antidemocratico e anticostituzionale. La Costituzione è garante di un sano pluralismo, occorre avere una coscienza costituzionale per guardare laicamente alla questione. La partita da giocare è troppo importante e delicata e richiede l’intervento di tutti, politici, amministratori, docenti e ministri. Come genitori attendiamo a giorni lo sblocco per le scuole paritarie italiane dell’accesso ai finanziamenti europei (Pon). Noi ci crediamo molto, non è solo una questione di fondi ma piuttosto di dignità e di riconoscimento della funzione pubblica delle scuole paritarie da anni escluse dai bandi in base ad un accordo firmato dal Miur (2014). Un’assurdità che rende ancora più povero il nostro grande Paese. 





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