Scrive Alessandro D’Avenia nel suo Ogni storia è una storia d’amore, ai primi posti nella classifica dei libri più venduti in Italia nel 2017, che “senza storie impazziremmo”. Intende “le storie che inventiamo e sopravvivono nel ricordo” e che “si mescolano al nostro vivere quotidiano come una ipotesi per abitare il caos del mondo, come un filo che consente di affrontare il labirinto della vita dandogli un senso”. Se questo è vero — e secoli di civiltà universale lo dimostrano, perché se esistessero solo scienza e tecnica non saremmo qui a raccontare — le nuove linee guida per la prova di italiano agli esami di terza media, anticipate pochi giorni fa dal ministero dell’Istruzione, hanno lo stesso effetto di una bomba nucleare: spezzano in un secondo uno dei pilastri su cui si fonda non solo la scuola, ma l’intera cultura italiana. Quella che ha contribuito a creare “il Paese più bello del mondo”.
Il gruppo di lavoro ministeriale, guidato dal docente universitario Luca Serianni, propone infatti di abolire il tema letterario e di sostituirlo con “una sintesi ragionata degli elementi essenziali di un testo, una narrazione costruita a partire da elementi forniti dal docente, l’argomentazione di una o più tesi, magari fra loro contrapposte”. L’obiettivo è chiaro e lo ha scritto senza mezzi termini, anzi con grande enfasi, Andrea Gavosto su La Stampa: scardinare una scuola, rispecchiata dallo svolgimento del classico tema, “che privilegia la capacità di scrittura letteraria, l’erudizione, l’argomentazione retorica”. Domanda: e cosa c’è di male nella letteratura, nell’erudizione, nella retorica? Da quando sono considerati intralci alla crescita della persona? Senza accorgersi della contraddizione in cui s’è infilato, il quotidiano torinese aggiunge che “questo tipo di scuola è stata sicuramente capace di generare grandi scrittori e scienziati, letterati, giornalisti di spicco”. Così, come si fosse trattato di un apporto insignificante alla crescita dell’intera società. Vogliamo forse insinuare che certi intellettuali non servono più? Si arriva poi ad un passaggio che lascia atterriti per la sua materialità: “Quanti hanno utilizzato la forma del tema nel loro lavoro e nella vita quotidiana? Molto pochi, c’è da scommettere”.
Ma siccome al peggio non c’è mai fine, ecco la conclusione: “Creare testi nel rispetto di una serie di vincoli è oggi più utile che scrivere seguendo liberamente il flusso dei propri pensieri”. In altre parole, meglio seguire il flusso di pensiero degli altri? Da quando seguire il flusso dei propri pensieri, certo adeguatamente incanalati in classe dall’insegnante al solo scopo di evitare dispersioni e incongruenze, è diventato un impedimento allo sviluppo della personalità? Risposta semplice: da quando la cultura imposta dal potere (che ha sempre un fine utilitaristico, vedi un certo modo di fare politica, gestire le banche, amministrare i grandi capitali) ha deciso che quello che conta è l’utilità pratica delle scelte quotidiane.
Conseguenza: scrivere un tema, nel senso più classico del termine, non serve, cioè non è utile, perché tanto nella vita quotidiana non si scrivono certo temi. Esattamente come non si svolge il teorema di Pitagora, non si svolgono funzioni matematiche, non si calcola l’area di un esagono, non si mette in pratica la teoria dei vasi comunicanti. Del resto, per lavorare in banca, in una officina meccanica o dal dentista serve forse conoscere la Nona di Beethoven o l’impressionismo francese o le risposte che il cardinale Federico Borromeo diede alle angosce esistenziali dell’Innominato? Certo che no, secondo Serianni, Gavosto e chissà quanti altri. Quel che conta è soffocare la fantasia, cancellare la memoria, annullare il sogno, delimitare il più possibile i desideri. Quanto a Leopardi, che invece di limitarsi a considerare nella sua apparenza la famosa siepe si spinse a considerare “infiniti spazi e sovrumani silenzi di là da quella”, peggio per lui: è finito gobbo e senza amici. Qualche giorno fa un alunno ha interrotto la lezione invitandomi ad osservare (mirare, avrebbe detto Leopardi) la strana nuvola che nel cielo fresco del mattino aveva, secondo la sua ignobile fantasia, “preso le forme di uno sciatore”. Bisogna che gli dica di smetterla di pensare alle nuvole. Non sia mai che vi trovi il filo misterioso che lo conduca a scoprire il senso della vita.