Il recente Rapporto Svimez 2018 sull’economia e la società del Mezzogiorno, presentato a Roma lo scorso 1° agosto, evidenzia che “il processo di perdita di capitale umano verso il Nord e verso l’estero è continuato inesorabile e ha provocato un grave depauperamento della struttura demografica e del tessuto sociale. Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati; il 16% circa si sono trasferiti all’estero. Quasi 800mila di essi non sono tornati più nel Mezzogiorno. Anche nel 2016, quando la ripresa economica ha manifestato già segni di consolidamento, si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 131mila residenti, un quarto dei quali ha scelto un paese estero, una quota decisamente più elevata che in passato, come sempre più elevata risulta la quota dei laureati”.
Simili preoccupazioni erano già state segnalate nel rapporto Svimez dell’anno precedente, secondo cui a favorire “la continua emorragia di risorse umane dal Sud” è anche “l’insufficiente dotazione di capitale produttivo dell’area che si traduce in una carente domanda di lavoro, che non favorisce l’impiego delle giovani generazioni formate nei percorsi di istruzione anche avanzati”. Altri studi condotti per Svimez hanno stimato in almeno 30 miliardi di euro la perdita, in termini di trasferimento di risorse finanziare verso le aree più sviluppate (regioni del Centro-Nord e in minima parte all’estero), del flusso di emigrazione meridionale qualificata a partire dall’inizio degli anni 2000.
Gli allarmi sulla perdita del capitale umano, specie nelle regioni meridionali, e sul conseguente progressivo impoverimento economico e sociale, si ripetono periodicamente ma ricevono attenzione giusto lo spazio di un giorno, nell’indifferenza assoluta nel dibattito dei nostri politici che, tesi a consolidare le posizioni del proprio elettorato nel breve periodo, non posso permettersi di dedicare tempo e risorse i cui frutti si vedrebbero solo nel medio-lungo periodo e, probabilmente, a vantaggio di altre forze politiche. O forse, piuttosto, perché non hanno una alcuna visione di lungo periodo dello sviluppo del paese (o sarebbe meglio dire, che non hanno alcuna visione, a prescindere dall’ordine temporale). “Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico guarda al successo del suo partito, uno statista a quello del suo paese”, diceva James Freeman Clarke, predicatore e politico statunitense del XIX secolo. C’è qualche statista degno di questo nome, fra i politici del nostro paese?
Non solo indifferenza. Ormai siamo alla rassegnazione amara. “L’istruzione al Sud è destinata a morire”, è stato scritto su queste pagine qualche giorno fa. E quando si leggono i risultati delle ultime prove Invalsi, sembra difficile controbattere. D’altra parte, è anche vero che giovani laureati nelle università meridionali trovano spesso all’estero collocazioni lavorative di livello, segno che la formazione ricevuta è — nonostante tutte le difficoltà — qualificata e competitiva. Segno che non tutto è negativo, anche se il contesto medio è comunque critico.
E’ evidente che senza un forte, deciso, intelligente e coordinato programma di investimenti a largo spettro, di lungo periodo e che coinvolga massicciamente i giovani, non sarà possibile alcuna ripartenza nel Mezzogiorno, anzi le condizioni andranno progressivamente peggiorando, tenendo conto che le dinamiche demografiche in atto, se non opportunamente contrastate, sono ineludibili. Un programma di investimenti i cui i primi frutti concreti li vedremo solo fra qualche anno; un insieme di misure non astratte, ma che muovano da un rapporto con la società civile e dal lavoro di tanti che — contro tutto e contro tutti, come evidenziato anche nel rapporto annuale della Fondazione per la Sussidiarietà dedicato ai giovani al Sud — costruiscono nella società: imprese, scuola, formazione professionale, università, associazioni. Innanzitutto a partire e cercando di valorizzare ciò che già esiste e ponendo le condizioni perché la creatività e la competenza di giovani meridionali possano esprimersi in contesti lavorativi all’altezza della loro formazione.