Ci occupiamo di innovazione nei licei e negli istituti superiori del nostro tempo tenendo sempre presente che la scuola, nella sua natura di comunità educante, secondo l’accezione promossa dagli ultimi rinnovi contrattuali di comparto, promuove la realizzazione del diritto allo studio attraverso l’impegno e la professionalità di quell’esercito di docenti, di famiglie, di amministrativi e di dirigenti che incarnano la scuola per poi aprirla agli studenti.
L’innovazione punta al miglioramento della qualità dei processi di apprendimento e si impone come necessario processo di adattamento al cambiamento del contesto sociale non solo al fine di garantire la propria efficacia, ma di migliorarsi costantemente.
Tuttavia solo quel management della scuola che si ponga come open government, avvalendosi quindi della partecipazione di tutte le componenti, può coordinare e guidare il cambiamento attraverso i principi della trasparenza, della partecipazione, della cittadinanza digitale, ma anche attiva, e dell’innovazione stessa: tutto ciò dovrà giocoforza trovare espressione nel modus operandi della dirigenza scolastica.
Una gestione strategica della scuola vive la sua più grande sfida nell’integrare i punti di vista e le aspettative di tutte le componenti per giungere ad una visione globale e condivisa che consenta il miglioramento. Le mappe strategiche, studi di relazioni causa-effetto tra gli obiettivi compresi all’interno delle aree di performance quali apprendimenti, processi interni, sviluppo organizzativo, risorse umane, partecipazione degli stakeholders, si pongono come uno strumento fondamentale nella scuola che tanta letteratura di settore ha definito “organizzazione complessa dai legami deboli”.
Dal contesto sociale, fluido e in continuo mutamento, si entra nella scuola che è a sua volta un contesto formativo articolato e complesso ugualmente aperto. Una condizione imprescindibile di sinergica sintonia lega i due contesti nella prospettiva di una dimensione molto più ampia ; infatti dalla scuola si esce tornando allo stesso contesto sociale accelerato e globale, fatto di relazioni e connessioni, di trasformazioni e di sfide.
In questo circuito alla scuola si chiedono risposte per superare difficoltà di ogni tipo. Indicativa l’evidenza critica della distanza, rilevata dagli addetti ai lavori, tra la formazione cui portava un certo modello di scuola troppo teorico e le esigenze del contesto sociale in termini di bisogni professionali e di relative competenze necessarie.
Il modello dell’Asl, alternanza scuola-lavoro, ad oggi “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, pare rispondere al modello della social innovation secondo R. Murray, J. Caulier Grice, G. Mulgan, promosso ne Il libro bianco sull’innovazione sociale, modello secondo cui si passa dai suggerimenti alle proposte, attraverso prototipi e conferme, fino alla diffusione per approdare poi al cambiamento del sistema. Basti pensare che tra le finalità di questa modalità formativa, introdotta dalla legge 107/2015, c’è quella di accrescere la motivazione allo studio e di promuovere nei giovani la scoperta di vocazioni personali, di attitudini e interessi, ma anche di stili di apprendimento individuali, offrendo alla formazione “scolastica” il valore aggiunto di attività proprie del curricolo di pertinenza ma maturate in contesti che stanno fuori dalla scuola in senso fisico, educativo e formativo.
E grazie alla partecipazione diretta al contesto operativo, sia essa quella di uno stage in un centro di ricerca scientifica o in un istituto bancario, si tocca con mano, perché la si vive, la socializzazione e la permeabilità di ambienti diversi, scuola e azienda (o altro ente interlocutore con l’istituzione scolastica); e si tocca con mano la reciprocità degli scambi di esperienze, scambi che concorrono alla formazione della persona nel senso della sua complessità, sostanziando la ratio del lifelong learning e quindi di un apprendimento permanente.
“Dentro” verso “fuori” non solo per i percorsi di competenze trasversali e di orientamento, ma per ogni attività didattica curricolare debitamente progettata e deliberata dagli organismi collegiali a tutti noti.
E “dentro” verso “fuori” anche come service learning nella misura in cui la scuola coglie le opportunità e le risorse del territorio in chiave formativa e le trasforma in percorsi orientati all’acquisizione delle competenze di cittadinanza, seguendo il sentiero dell’inclusione, e professionalizzanti. Per questa particolare forma di apertura della scuola verso il fuori da sé l’analisi del contesto in cui essa è collocata serve per porre in rilievo i servizi mancanti o carenti sul territorio e in quest’ottica di apprendimento–servizio si progettano risposte concrete per la collettività di riferimento.
A titolo esemplificativo, la presenza di una biblioteca in una scuola può rispondere all’esigenza di un’area urbana che ne sia sprovvista e divenire centro di studio per i propri alunni, ma anche per quegli stessi alunni divenuti universitari o professionisti.
E se la scuola non avesse una determinata opportunità al proprio interno per attività sportive o di drammatizzazione e si rivolgesse all’esterno per non privarne i propri studenti?
Ben venga, diremmo noi, perché la scuola non è fatta di confini ma di orizzonti. E gli orizzonti sono quelli propri di una comunità educante, luogo ideale e non strutturale, che interagisce con l’altra comunità educante con cui fa rete, riuscendo a trasformare ogni giorno di più i legami deboli, quelli di cui prima, in legami forti perché flessibili.
Concludiamo la nostra riflessione con un riferimento ad una realtà oggettiva e non così lontana come si è portati a pensare: la scuola superiore di Nord-Osterdal, in Norvegia, è organizzata in modo che le aule diano tutte verso l’esterno e intorno allo spazio centrale si svolgano le attività comuni; mentre la Nordahl Grieg High School, sempre in Norvegia, è aperta e trasparente per favorire lo scambio tre esterno e interno.