Caro direttore,
la campagna elettorale appena iniziata ha riaperto, tra le altre, una questione che sembrava definitivamente archiviata: quella dei cattolici in politica. Nella stampa quotidiana si susseguono articoli di vario tenore da cui traspare una certa inquietudine: che fine hanno fatto i cattolici – ci si domanda -, è proprio necessaria la loro presenza e quale carattere dovrebbe assumere?
Vi è stato chi ha sostenuto che abbiamo bisogno di testimoni che vivano la politica come servizio e non certo di un nuovo partito cattolico. Sono d’accordo. La politica è innanzitutto un servizio al bene comune e non mi pare che vi siano le condizioni storiche per immaginare la ricostituzione di un partito di cattolici. Vedo però un rischio. Il rischio è che la presenza pubblica dei cattolici sia ridotta alla difesa dei cosiddetti valori non negoziabili: vita, famiglia, educazione e poco altro. La partecipazione dei cattolici si risolverebbe così nella formazione di una lobby trasversale. In fondo, esistono tante lobby, piccole e grandi, poste a difesa di specifici interessi: c’è chi difende i pensionati, chi i consumatori, chi l’ambiente, ecc. Non vi sarebbe nulla di male a costituirne un’altra, per di più a protezione di nobili valori. I cattolici potrebbero così sopire la loro inquietudine scegliendo candidati presenti in ogni lista, da destra a sinistra, certi che, al momento opportuno, essi si compatterebbero per difendere i valori non negoziabili.
A mio giudizio, non è questo il compito dei cattolici in politica. Pio XI e, dopo di lui, altri papi definiscono la politica la forma più alta di carità e cioè l’amore all’altro che, dalla sfera dei rapporti familiari e amicali, si estende fino agli estremi confini del mondo. Oggi papa Francesco parla di amicizia sociale e amore politico. Fare politica significa contribuire al bene comune di persone e popoli impegnandosi a trovare soluzioni per ogni problema che riguardi l’umana convivenza: non solo vita, famiglia e scuola, ma anche lavoro, integrazione, assistenza, pace, sviluppo.
Insomma, i cattolici non sono e non possono diventare una lobby. Sono invece portatori di una cultura nuova che investe ogni aspetto della vita sociale. Il problema è che una cultura nuova non cala dall’alto, neppure dalla cattedra di Pietro, ma vive solo dentro un’esperienza di popolo, come la storia dimostra. Nel 1875 i cattolici fondarono a Firenze l’Opera dei Congressi, nel 1919 don Luigi Sturzo costituì il Partito popolare italiano, nel lungo dopoguerra abbiamo avuto la Democrazia cristiana: tutte esperienze di popolo. Oggi, probabilmente, non vi sono le condizioni per fondare un nuovo partito di cattolici ma, come auspicato anche negli appelli apparsi recentemente su Avvenire, può nascere un nuovo movimento popolare, promosso da cattolici e aperto a tutti, che si proponga di portare un contributo al bene comune. L’inquietudine (sana) non è finita.
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