Egregio direttore,
l’esercizio di equilibrismo di Giorgia Meloni in vista delle elezioni europee del prossimo anno è appena cominciato. L’ondata di destra ed euroscettica pronta a travolgere l’Europarlamento che tutti i sondaggi danno per scontata impone alla presidente del Consiglio di pensare a come formare le alleanze per governare anche in Europa. Presidente del gruppo conservatore e iper-atlantista Ecr, impegnata nella difesa dell’Ucraina dall’invasione russa, la fondatrice di Fratelli d’Italia deve fare i conti con i piani di Matteo Salvini, scomodo alleato di governo, coalizzato in Europa con il Rassemblement National di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternativa per la Germania (AfD), all’interno del gruppo Identità e Democrazia.
Questi due partiti sono considerati dall’establishment di Bruxelles portatori degli interessi russi in Europa, megafoni della propaganda di Mosca, a causa della loro posizione a dir poco ambigua sulla guerra in Ucraina. La freddezza con cui Meloni ha accolto la proposta del leader della Lega di unire i gruppi in vista delle elezioni europee si spiega non solo con la consapevolezza della premier di non poter commettere errori, data l’enorme posta in gioco. Ma anche con la convinzione che i temi internazionali domineranno l’agenda politica e mediatica a Roma e Bruxelles nei prossimi anni. L’invasione russa del 24 febbraio 2022 ha risvegliato la coscienza geopolitica delle nazioni del Vecchio Continente, convinte che parole come guerra e politica di potenza appartenessero al passato. Di qui, la maggiore attenzione posta dai partiti alle dinamiche internazionali, alla politica estera, alle implicazioni strategiche delle scelte economiche e politiche. Meloni sa perfettamente che il no categorico di Antonio Tajani a un’intesa con gli alleati francesi e tedeschi di Salvini riflette la posizione del Partito Popolare Europeo (Ppe), di cui Forza Italia fa parte.
Ed è altrettanto convinta che a causare l’orticaria ai moderati in Europa non siano tanto le posizioni euroscettiche, sovraniste e anti-immigrati dei compagni di viaggio di Salvini, quanto la loro malcelata difesa della causa di Mosca. È l’allineamento geopolitico dell’Europa a togliere il sonno ai rappresentanti delle storiche famiglie europee. Che le posizioni eurocritiche di alcuni gruppi europei (tra cui l’Ecr guidata da Meloni) siano infatti ormai sdoganate lo dimostrano i frequenti incontri della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con la presidente del Consiglio Meloni. O le riunioni tra il presidente del Ppe Manfred Weber, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e la stessa von der Leyen con Meloni per capire come allearsi e raggiungere i numeri necessari a esprimere una maggioranza alle prossime elezioni.
E ancora, i contrasti tra Polonia e Commissione europea per le violazioni di Varsavia su diritti delle minoranze e indipendenza della magistratura si sono indubbiamente attenuati o, quantomeno, non vengono drammatizzati come prima, proprio per l’importanza della Polonia nel contenimento della Russia e nell’accoglienza dei rifugiati ucraini. Ad allargare il solco che separa Weber e Tajani da Salvini, Le Pen e i tedeschi di AfD non sono solo le invettive di questi ultimi “contro l’Europa delle banche”, peraltro ridimensionate negli ultimi tempi. Ma, soprattutto, i finanziamenti russi a Marine Le Pen, i viaggi degli esponenti di AfD nelle zone dell’Ucraina orientale occupate dall’esercito russo, i mugugni di Salvini ogni volta che l’Italia deve approvare un pacchetto di armi da consegnare al presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Con il ritorno della guerra in Europa, l’allineamento dei Paesi membri a difesa dell’Ucraina è questione prioritaria a Bruxelles, oltre che elemento (più che) gradito a Washington. Lo scarrellamento fuori dall’orbita occidentale non è tollerato. Non che in futuro non si possa di nuovo dialogare con Mosca, magari con un’altra leadership e dopo aver chiarito come creare un efficace deterrente contro l’ipotesi di future avventure militari. Ma questo non potrà che avvenire con una pace giusta, che possibilmente allontani la presenza della Russia dai confini europei, scoraggiandone gli istinti neo-imperiali. Meloni ha dimostrato di conoscere queste dinamiche. Sa che siamo dentro il campo occidentale a guida americana e che la politica europea, pur adottando tattiche differenti, deve allinearsi. Per questo prende tempo. Per esplorare le diverse strade da battere. Nella certezza che Bruxelles e Washington possono digerire quasi ogni intesa, anche con gli euroscettici, a patto di non sconfessare la storica traiettoria geopolitica dei Paesi dell’Unione.
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