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Home » Esteri » Medio Oriente » ELEZIONI IN PALESTINA/ Il ruolo dell’Egitto tra Israele, Arabia e Biden

  • Medio Oriente
  • Esteri

ELEZIONI IN PALESTINA/ Il ruolo dell’Egitto tra Israele, Arabia e Biden

Int. Sherif El Sebaie
Pubblicato 10 Febbraio 2021
palestina_israele_gaza_fatah_hamas_lapresse_2017

Nella Striscia di Gaza, militanti di Hamas (LaPresse)

Sotto la guida dell’Egitto sono iniziati al Cairo i colloqui tra le diverse fazioni palestinesi in vista delle prossime elezioni. Così al Sisi vuole giocare un ruolo chiave

È cominciata al Cairo una riunione dei principali gruppi politici palestinesi in vista dello svolgimento delle prossime elezioni legislative e presidenziali. L’Egitto, come ci ha detto in questa intervista Sherif El Sebaie, opinionista ed esperto di diplomazia culturale, rapporti euro-mediterranei e politiche sociali di integrazione, “da sempre svolge un ruolo guida nel processo israelo-palestinese, sin da quando il presidente egiziano Nasser fondò l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Oggi, dopo un periodo di eclissi dovuta ai problemi interni dopo la presa del potere da parte del presidente al Sisi, l’Egitto sta riprendendo questo ruolo guida, grazie ai rapporti con Israele che non sono mai stati così buoni come adesso”. Naturalmente in questo dialogo il problema più grave è la contrapposizione fra le due forze palestinesi più importanti, e cioè Fatah e Hamas, quest’ultima, dice ancora El Sebaie, “ramificazione dei Fratelli musulmani, un movimento che in Egitto è fuorilegge e soggetto a un’azione di repressione molto forte, ma ovviamente è impossibile escluderlo da un processo di negoziazione”.


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Convocati al Cairo i rappresentanti dei più importanti gruppi palestinesi. È un ritorno dell’Egitto al suo ruolo guida nella questione israelo-palestinese?

L’Egitto dopo la rivoluzione del 2011 ha passato un lungo periodo di instabilità politica per cui l’agenda interna ha avuto la precedenza. Ha perso diverse posizioni sullo scacchiere internazionale, però le ha velocemente recuperate da quando al Sisi è arrivato al potere.


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Come sono oggi i rapporti tra Egitto e Israele?

Credo non siano mai stati ottimi come lo sono oggi, c’è una collaborazione a tutti i livelli, tra cui la più importante è quella a livello militare per eliminare definitivamente ciò che resta dello Stato islamico nel Sinai, che rappresenta un pericolo per tutti e due i paesi. Esiste un vero e proprio coordinamento militare molto stretto.

Come si è arrivati a questa collaborazione, anche militare?

In generale Egitto e Israele hanno avuto un rapporto privilegiato dal momento stesso in cui si è consumato il colpo di Stato popolare con cui al Sisi è arrivato al potere. E Israele si è speso diplomaticamente molto per impedire – ricordiamo che in quel momento il presidente degli Usa era Barack Obama – che le minacce di boicottaggio americano diventassero qualcosa di concreto.


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Invece i rapporti con i palestinesi? Quelli con Hamas, organizzazione terroristica, non saranno certamente buoni…

La questione palestinese è senza dubbio uno dei nodi più importanti per l’Egitto sia per la vicinanza geografica, sia per il rapporto con Israele. Per l’Egitto è importante recuperare un ruolo guida.

In che modo?

Hamas è a tutti gli effetti una ramificazione dei Fratelli musulmani, un movimento che in Egitto è fuorilegge e soggetto a una azione di repressione molto forte. Il rapporto con Hamas non è certo quello che esiste con Fatah, che a sua volta è una ramificazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ma si distingue per una impostazione laica, aperta alla soluzione dei due Stati, in armonia con la visione dell’Egitto. Hamas però continua a controllare la Striscia di Gaza, tra l’altro confinante con l’Egitto, per cui non si può prescindere dal coinvolgerli in un dialogo.

Oggi i palestinesi sostengono più Hamas o Fatah?

Credo che i palestinesi siano più propensi a sostenere Fatah, non credo che quelli che vivono sotto Hamas siano contenti, anche perché negli ultimi tempi Hamas ha dimostrato un controllo di tipo dittatoriale, improntato al fondamentalismo religioso. La popolazione dal punto di vista sociale ed economico è malcontenta.

Il nuovo presidente americano Biden ha annunciato grandi cambiamenti nella politica americana in Medio oriente, ma per adesso solo per quanto riguarda l’Iran e l’Arabia Saudita. Crede che farà delle mosse anche per quanto riguarda la situazione israelo-palestinese?

Probabilmente a livello simbolico ci saranno dichiarazioni e forse qualche provvedimento di superficie. Per quanto riguarda l’Arabia non si può parlare di cessazione delle vendite di armi, ma solo di congelamento in attesa di una revisione degli accordi che potrebbe portare anche a una conferma delle vendite. L’Arabia da 70 anni è un pilastro fondamentale della politica americana in Medio oriente, un alleato importantissimo, vedo difficile che si rinunci all’alleanza e ai miliardi di dollari che questi accordi portano nelle casse americane.

Invece con Israele ed Egitto?

È un’altra questione ancora. Israele, come si sa, ha una fortissima influenza nei circoli politici americani e il tandem con l’Egitto è qualcosa di cui anche l’Egitto beneficia. Biden si è sempre distinto per essere uno dei senatori più filo-israeliani, escludendo il dossier iraniano non credo faccia qualcosa, il rapporto con l’Egitto rientra in questa sfera.

Proprio nelle stesse ore a Gerusalemme riprende il processo contro il premier Netanyahu. Influenzerà in qualche modo il processo israelo-palestinese?

Netanyahu ha dimostrato di essere un politico capace di riciclarsi e rispuntare sempre. Certo, il processo a ridosso delle elezioni gli rende difficile fare plateali concessioni. Tra l’altro ci sarà presto una sua breve visita in Egitto, che ha espresso ci siano delle concessioni a favore dei palestinesi, ma sono state respinte, proprio a causa del processo in corso.

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