Avviso ai naviganti: lo psicodramma del Pd lombardo non è finito con la scelta di Pierfrancesco Majorino quale avversario di Attilio Fontana e Letizia Moratti alle prossime regionali. La ritirata in buon ordine dell’altro Pierfrancesco (Maran), sancita con un conciliante post di poche ore fa, è solo tattica. La battaglia vera comincia ora e non si giocherà nelle urne regionali.
A qualcuno è venuto persino il sospetto che la candidatura dell’assessore comunale milanese di maggiore anzianità (è in carica da 12 anni filati) sia stata una piccola bufala: pur sapendo che la scelta era già stata fatta e che invocare primarie di una coalizione inesistente non aveva alcun senso, Maran ha voluto comunque buttare il sasso nello stagno piddino, mostrare il largo seguito di cui gode (almeno a Milano città) tra quelli che una volta si chiamavano miglioristi e posizionarsi in vista dell’imminente congresso per un ruolo importante a livello nazionale. Nel caso andasse male anche questa volta, all’ex pupillo di Filippo Penati resterebbe sempre l’opzione Terzo polo, anche se neppure lì le acque sembrano tranquille.
Si vocifera di forti malumori tra renziani e azionisti: i primi non hanno per niente gradito le avances calendiane verso il Pd e stanno alla finestra. Pare che un gruppo di amministratori locali e imprenditori brianzoli di area popolare finora legato a Italia viva si voglia costituire in corrente autonoma e sia addirittura intenzionato a votare per Fontana. Insomma anche per il Terzo polo il rischio implosione è concreto.
A Majorino ora non resta che ricompattare il gruppo con qualche parola d’ordine “de sinistra”, formalizzare l’appoggio quasi scontato di Sinistra italiana e di +Europa e provare a convincere i 5 Stelle alla desistenza, benché i segnali che arrivano dai grillini lombardi anche oggi siano negativi. In fondo l’eurodeputato milanese non rischia nulla: ha invece tutto da guadagnare da una corsa identitaria e quasi certamente perdente, ma in grado di ridargli quella popolarità di cui godeva quando faceva il roccioso capogruppo di opposizione a Palazzo Marino (alla Moratti) e che a Bruxelles ha perso.
Pare che ieri sera all’annuncio del nome molti si siano fregati le mani dalla soddisfazione: lo avrebbe fatto Letizia Moratti che vede spalancarsi una voragine al centro in cui pescare a piene mani. Non è un mistero che una parte del Pd milanese, segnatamente quella di provenienza cattolica personificata da Pizzul, Granelli, Mattioli, vedesse con un certo favore l’accordo con Donna Letizia, e l’interessata spera, con qualche fondamento, che i mal di pancia di quest’area, ancora molto ben posizionata dalle parti di Piazza Fontana, producano segretamente frutti elettorali.
Ma chi è più contento è di sicuro il presidente uscente: i più informati dicono che al trentaseiesimo piano del palazzone a vetri ieri sera abbiano stappato. In effetti la scelta di Majorino sembra certificare che il Pd ha scelto di ricompattarsi invece che di vincere. Con un sistema elettorale fortemente maggioritario a turno secco come quello lombardo o il campo è largo, anzi larghissimo, o non si tocca palla.
Il centrodestra però non può pensare di aver già vinto. Vi sono tensioni interne alla coalizione che per ora restano sotto traccia ma che potrebbero esplodere, provocando un’emorragia di voti a tutto danno di un candidato non particolarmente carismatico. La Lega, che vedrà probabilmente dimezzata la sua pattuglia di consiglieri, è in fibrillazione e la battaglia delle preferenze è già in corso, anche se la data del voto non è ancora stata fissata (pare il 12 febbraio, lo vedremo nei prossimi giorni). Forza Italia quanto sarà ridimensionata? I moderati di Lupi e Cattaneo riusciranno a presentare una lista in grado di conquistare almeno un seggio? I numeri delle recenti elezioni politiche dicono di no e dunque si rincorrono le voci di movimenti in corso da quell’area verso la rassicurante sponda meloniana con la regia dell’emergente neo-deputato Malagola. Del resto Fratelli d’Italia ha il problema opposto di Lega e Forza Italia: in molte province stenterà a fare liste di qualità a meno di “trasmigrazioni” eccellenti, dunque la caccia grossa è aperta e le potenziali prede abbondano.
Ora si attende il 28 novembre quando alla Bicocca sotto le torri della famosa installazione di Anselm Kiefer chiamata “I sette palazzi celesti”, il centrodestra farà il bilancio del quinquennio e presenterà il programma della prossima legislatura regionale. Il “Celeste” però – quello autentico – difficilmente ci sarà.
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