«Per Berlusconi è prioritaria la riforma della giustizia, per Bossi è prioritario il federalismo. E Berlusconi sa bene che le regioni del centro nord respirano e ragionano già in chiave federalista». «Ora tutto il nord – dice Gianluigi Paragone – parla la stessa lingua politica». Il vicedirettore di Raiuno commenta il dopo-voto.
Le urne hanno ribaltato i pronostici. Il risultato elettorale cambierà i rapporti tra Pdl e Lega?
Partiamo dagli accordi preelettorali. Non era possibile per un partito federalista non ambire alla guida di due regioni importanti del nord, e Berlusconi lo aveva capito benissimo: non ha fatto un favore a Bossi, ha semplicemente capito che la nuova Italia – le regioni del centro nord, la parte più avanzata del paese – «respira» e ragiona in chiave federalista. Il risultato elettorale va letto alla luce di questo ragionamento.
Vedremo un Berlusconi più «leghista»?
Non è questo che conta. In Veneto la partita era pressoché sicura. In Piemonte era tutta da giocare e poteva farlo Cota come avrebbe potuto farlo Ghigo. Berlusconi ha chiuso l’accordo su Cota perché ha condiviso con Bossi il progetto federalista. Hanno avuto ragione e il risultato è che ora tutto il nord parla la stessa lingua politica. È l’Italia del fare, quella che ha l’onere di produrre buona parte del Pil. In un momento delicato di ripresa economica, solo con il consenso di questa fetta del paese si può fare il federalismo politico e fiscale.
Intanto Bossi ha «prenotato» Milano. Si tratta di euforia post-elettorale o di una vera candidatura?
Le dichiarazioni di Bossi sono comprensibili solo in quel contesto. Il leader della Lega ha capito che Milano sta soffrendo, perché ha bisogno di rimettersi al centro sia del sistema nord, sia del sistema che attraverso il nord guarda ai mercati globali. Se Barcellona non fosse una capitale forte, la Cataluña non sarebbe una regione forte. Secondo me la candidatura personale di Bossi non va intesa in chiave personalistica, proprio perché è l’espressione di quel disegno più ampio, e politicamente forte, di cui parlavo. Solo Milano – pensa Bossi – può essere una capitale all’altezza di una delle macroregioni più importanti d’Europa.
Quale sarà il patto Bossi-Berlusconi sulle riforme?
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L’accordo potrebbe assumere la forma «federalismo in cambio di giustizia». Per Berlusconi è prioritaria la riforma della giustizia, per Bossi è prioritaria una riforma che nel pieno rispetto dell’unità del paese dia la possibilità alle regioni di correre se hanno la «benzina» per farlo. La politica di Berlusconi è verticale, e infatti lo stesso Pdl è un partito «verticale». La Lega invece è un partito «orizzontale», e per questo declina in modo diverso i temi della sua politica.
Da un lato si dice che la Lega ha saputo parlare alla gente, dall’altro l’astensionismo sarebbe lì a dimostrare che alla gente la Regione non interessa. Chi ha ragione?
Non è così. Che cosa siano le regioni la gente lo sa benissimo. Una lettura uniforme dell’astensionismo a mio avviso non è possibile: accanto a quelli che hanno da tempo riposto la scheda elettorale nel cassetto, c’è una parte variabile di elettorato che protesta verso la politica. La critica aspramente ma non la rigetta. Quanto alla capacità della Lega di parlare all’elettorato di centro destra – ma anche di centro sinistra – è la novità di Bossi da 15 anni.
I voti in più che ha avuto la Lega di chi sono e da dove arrivano?
In parte sono voti di un interscambio storico tra Fi An e Lega, in parte sono voti nuovi, anche di primo elettorato. Il messaggio della Lega piace ai giovani perché è molto semplice. Dalla riforma federale all’immigrazione, tutti sanno bene cosa vuole Bossi. E poi c’è un voto che Bossi toglie alla sinistra: lo sfondamento in Emilia – e i buoni risultati in Toscana e Marche – è tipicamente identitario.
E come spiega la vittoria di Roberto Cota in casa della borghesia progressista torinese?
Cota ha la faccia di una Lega diversa dal passato, una Lega che rompe con quella stile Borghezio e che forse faceva paura. Torino non va spaventata, è una città che ha bisogno di essere compresa. Cota lo ha fatto. Soprattutto è stato capace di far sentire piemontesi anche coloro che non sono della provincia di Torino e ai quali dà fastidio essere – mi passi il termine – «torinesizzati». Cota ha garantito un riconoscimento identitario a tutti.
Renata Polverini, «finiana» in un primo tempo, dopo aver vinto al fotofinish ha ringraziato Berlusconi ma non Fini. Chi è il presidente della Camera oggi nel Pdl?
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Berlusconi e Bossi hanno vinto – e non dimentichiamo che Berlusconi ha stravinto nel Lazio – perché sono riusciti a «scongelare» nuovi voti. Ci sono riusciti perché sono uomini di passione. Le chiedo: Fini è un uomo di passione?
Ora Fini che carte ha in mano?
Quelle di una politica fatta di tecnicismi. Berlusconi e Bossi dimostrano che la politica si fa mettendoci la faccia e a volte anche la salute. Non limitiamoci però al trito luogo comune per cui Berlusconi scalda i «cuori» oppure a quello per cui al nord il voto è di «pancia». In realtà il nord vota con la testa e con le tasche. Forse anche troppo, rischiando di diventare spiccatamente individualista.
È comunque un nord abbastanza lontano da alcune prese di posizione laiciste tipiche di Fini. Partito come il «Sarkozy italiano», ora il suo campo si restringe drasticamente, o no?
Quella di Sarkozy italiano è una maldestra definizione giornalistica. Ultimamente i giornalisti non hanno azzeccato molte previsioni e non credono che sappiano azzeccare lo scenario futuro. Se mi dicessero che questo scenario è quello di Fini e di altri mondi «terzi», io dico che non sarà così facile, perché i voti si contano.
Si riferisce a Montezemolo?
Ho semplicemente parlato di mondi terzi.
Dopo la sconfitta del suo candidato Rocco Palese in Puglia il ministro Fitto si è dimesso.
La Puglia poteva essere vinta ed è un peccato che oggi si debba sentire Vendola narrare una nuova esperienza politica che io considero essere con pochi valori. Il centrodestra ha perso una regione importante, che rischia ora di subire una gestione ideologicamente contraria al governo per un errore strategico di Fitto. Gli va riconosciuta la dignità della decisione.