In vista delle elezioni regionali si è ipotizzata l'introduzione di una misura simile al Reddito di cittadinanza a livello locale
Già molti e autorevoli osservatori, anche su queste pagine, hanno commentato le proposte di “reddito di cittadinanza regionale” che fanno parte degli accordi pre-elettorali sottoscritti dalle forze di centro-sinistra e dal Movimento 5 Stelle (il c.d. campo largo) per le prossime elezioni regionali.
Come noto, lo Stato ha competenza esclusiva sul sistema tributario, sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, sulla previdenza sociale. Sono materia di legislazione concorrente (la potestà legislativa è delle Regioni, quindi, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali) la tutela e sicurezza del lavoro e la tutela della salute. Infine, rientra nella competenza legislativa delle Regioni ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione (lo stesso che regola quanto elencato nelle righe precedenti).
Quello costituzionale è uno scoglio evidentemente insormontabile, da quale deriva anche la natura delle risorse economiche che le Regioni potrebbero utilizzare per finanziare i redditi di cittadinanza locali: si tratta, non a caso, di fondi europei dedicati alle politiche attive del lavoro o all’inclusione dei soggetti socialmente ed economicamente più fragili (materie di potestà legislativa concorrente). Non è possibile finanziare politiche di lungo periodo a fondo perduto con trasferimenti economici di questo genere, perché devono essere vincolati a risultati rendicontabili.
Nessuna regione italiana, inoltre, neanche la più ricca, gode di introiti diretti così ingenti da poter sostenere i costi di una misura assistenzialistica a tempo indefinito (doveva essere rinnovata, ma poteva non terminare mai in costanza di possesso dei requisiti) quale il “vecchio” Reddito cittadinanza approvato dal Governo Conte.
Qual è, allora, la proposta operativa ideata dai candidati del M5S? L’ex Presidente dell’Inps Tridico, oggi europarlamentare e candidato del campo largo alla Presidenza della Regione Calabria, ha parlato di uno strumento similare al “reddito di dignità” già operativo in Puglia: si tratta di una misura a tempo definito finalizzata all’inclusione e all’accompagnamento al lavoro dei disoccupati, perciò connessa allo svolgimento di tirocini, percorsi di alfabetizzazione, piani di formazione professionalizzante.
La denominazione è indubbiamente efficace (e pomposa), ma lo svolgimento pratico tutt’altro che originale: tutte le regioni dispongono di misure di questo genere, finalizzate al contrasto alla povertà sociale, prima ancora che economica, per il tramite di un sussidio mirato, dal quale deriva un obbligo all’attivazione.
La verifica tecnica, quindi, può concludersi con un semplice “si può fare” allorquando il reddito proposto, quale sia il modo con cui viene aggettivato, si concretizzi in una politica attiva a carattere temporaneo rivolta alla (vasta) platea dei soggetti definiti nei documenti europei “svantaggiati” o “a rischio di svantaggio/emarginazione sociale ed economica”.
Diversa, è la valutazione di merito. Nel momento nel quale l’Italia ha il maggior numero di occupati della sua storia, il minor tasso di disoccupazione degli ultimi vent’anni, uno dei più alti valori di c.d. “difficoltà di reperimento del personale” da quando esiste questa statistica, ha senso proporre una misura che evoca un messaggio deresponsabilizzante e assistenzialistico in un ambito così importante per l’identità della persona quale è il lavoro?
È certamente più complesso, ma non sarebbe più opportuna la proposta di un “diritto alla formazione di qualità” (cioè volta all’occupabilità di lungo periodo) da destinare a tutti i cittadini, anche quelli meno giovani, perché possano sfruttare l’inedita occasione della crisi dell’offerta di lavoro?
Nessun reddito (sussidio) può garantire la “dignità” di una persona quanto la fiducia sottostante a un proposta di lavoro seria, su cui costruire un futuro che è nelle proprie mani e non in quelle, tremolanti, del legislatore regionale.
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