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Home » Politica » Elezioni » Elezioni Regionali » ELEZIONI SARDEGNA 2024, VISTE DA SINISTRA/ Pd-M5s, la vittoria della Todde prepara il ribaltone (nazionale)

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ELEZIONI SARDEGNA 2024, VISTE DA SINISTRA/ Pd-M5s, la vittoria della Todde prepara il ribaltone (nazionale)

Paolo Torricella
Pubblicato 27 Febbraio 2024
Alessandra Todde (M5s)

Alessandra Todde (M5s)

La vittoria della Todde indica che il patto Pd-M5s esiste e può reggere, perché risponde ad una delusione crescente per la Meloni. Soprattutto nelle zone depresse

E vince la sarda Todde, prima grillina presidente eletta, prima creatura del nuovo corso. E vince anche se è avanti solo di misura e di qualche voto e senza dubbio si riconterà per mesi, scheda per scheda, rendendo lo spoglio infinito. Ma la Todde non vince solo perché, semplicemente, ha perso la Meloni. Lei, la grillina digerita di malavoglia dal Pd, a capo di una coalizione che si guarda in cagnesco ha fatto quello che doveva: tenere fuori dal palco i “romani” giocandosela tutta contro il governo centrale. Mettendo davanti agli elettori i sorrisi distanti di Giorgia Meloni che in Sardegna ci è andata a sostenere Truzzu, suo amatissimo candidato. Sostenuto contro Salvini, i centristi e contro tutti. Un sindaco su cui lei aveva puntato per dimostrare di non essere lei un’eccezione, ma di esprimere un consenso ampio e vasto nel Paese, diventato “nazione” grazie alle sue ragioni.


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Ma non è andata. E la sconfitta, oltre che amara perché molto risicata, fa ancor di più. Apre un baratro politico. Sotto i piedi della Meloni c’è un melmoso pantano in cui faticherà a fare passi in avanti la sua riforma del premierato, l’autonomia differenziata ed il tentativo di fare del centrodestra a trazione Meloni una lunga storia politica. Senza consenso nelle regioni il governo centrale lo perdi in poco tempo. E lei lo sa. E aver perso così, dopo essersi tanto spesa, le farà parecchio male, anche se non lo ammetterà mai. Può solo sperare che questa vittoria metta in crisi i suoi avversari, ormai condannati a stare assieme. Come avrebbero dovuto fare in Lombardia e come faranno in Abruzzo e forse a Firenze.


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Lo schema di unire il Pd ed i 5 Stelle regge e forse avrebbe retto anche alle politiche di un anno e mezzo fa. Ma ora è chiaro che senza stare assieme si fa fatica. E questo vuol dire che a breve il tema del rapporto tra alleati diventerà davvero centrale, per vedere se dopo tanti strali e tempeste sapranno governare assieme.

La Todde si è avvantaggiata certo dei manganelli di Pisa, con la sinistra di Avs (Alleanza Verdi Sinistra, ndr) che fa un bel risultato oltre il 4%, ha avuto dalla sua i tanti che vedono nelle politiche di smantellamento del Reddito di cittadinanza un abbandono delle aree più lontane da Roma. Il Pd primo partito e i 5 Stelle vicini all’8% dicono di due liste in salute.


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Meloni paga la sua assenza dai temi “da opposizione” su cui è fortissima, mentre le sue politiche di governo appaiono deboli e confuse, in generale povere di effetti. Ed il fatto di essere innegabilmente cresciuta sullo scenario internazionale non serve, quindi, se si tratta di scegliere a livello locale chi comanda. La Meloni non ha speso molto dei soldi del PNRR, non perché lo dice la Corte dei Conti, ma perché gli effetti a livello locale non si vedono. Ed anche se ha il record di occupati, il suo rifiuto sul salario minimo trasmette un messaggio di lontananza e fa sì che molti lavorino senza arrivare a fine mese. A ciò si aggiunge che le terre lontane da Roma, meno centrali di Veneto o Lombardia, si sentono messe da parte e tornano tra le braccia di un altro aggregato politico. Votare la Todde è stato votare contro la Meloni che, sapendo far di conto, sa che con i voti di Soru oltre metà degli elettori non l’ha votata.

La fortuna della Meloni, che il Pd ed i 5 Stelle devono comprendere come disinnescare, è che questa sconfitta arriva prima dell’election day di giugno e la premier potrà provare a correggere la rotta. Ma il rischio è che senza un disegno politico chiaro la Meloni e la sua maggioranza (con Forza Italia che regge ed i leghisti pure) esplodano, se i risultati saranno come quelli sardi. A quel punto si dovrà capire quale proposta di governo alternativo si possa costruire, oppure andare alle urne ad ottobre archiviando la parentesi meloniana. E Conte e la Schlein dovranno trovare una sintesi e risolvere la questione della leadership, a costo di chiudersi in qualche profondo scantinato e darsele di santa ragione, dialetticamente, sino a che troveranno la sintesi.

Sapranno farlo? Forse no. Ma saranno costretti a mettersi sotto braccio per rispondere ad un’esigenza che la crisi di governo, dopo le elezioni di giugno, potrebbe aprire.

Nel frattempo saranno mesi di necessario rimedio al disastro sardo. Una regione che torna al centrosinistra dopo un decennio e che indica una innegabile frattura narrativa del centrodestra maggioranza nel Paese. Intanto la Todde ed i suoi metteranno le mani sulla prima regione della loro storia e sarà interessante capire se sapranno interpretare il ruolo e fare le cose per bene o si faranno prendere dalle smanie alla Di Maio abolendo le scottature in spiaggia o dichiarando lo svedese lingua ufficiale della Sardegna. Se Todde farà in fretta la giunta e saprà governare, resterà la prima pietra su cui fondare un nuovo corso. Perché ha vinto, anche di poco, ma ha sconfitto l’invincibile Giorgia. Ora a Conte e Schlein non resta che brindare con un sorso di fileferru. Sperando non si ubriachino. Si sa, non sono abituati a festeggiare.

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Tags: PdGoverno MeloniElly SchleinMatteo SalviniGiorgia MeloniLuigi Di MaioGiuseppe ConteForza ItaliaM5s

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