Per le tasche degli italiani questi mesi estivi rischiano di essere poco piacevoli. I rincari si avvertono un po’ i tutti i settori e il prezzo della benzina alla pompa è tornato abbondantemente sopra i 2 euro al litro nonostante il taglio da 30 centesimi varato tre mesi fa dal Governo e prorogato fino al 2 agosto. Da luglio potrebbero aumentare di molto anche le bollette di luce e gas. Nomisma Energia, infatti, stima, al netto di interventi dell’esecutivo, rialzi del 17% per le prime e del 27% per le seconde. Abbiamo quindi chiesto al suo Presidente, Davide Tabarelli, di spiegarci cosa c’è dietro queste previsioni e tutto sembra portare al gas russo, «l’alternativa al quale, detto in modo un po’ brutale, è il buio».
Cominciamo dalle stime delle bollette a partire dal 1° luglio. A cosa si devono questi rincari dopo un lieve ribasso registrato all’inizio del secondo trimestre?
Sui mercati internazionali ci sono stati incrementi della materia prima nell’ordine del 60%, quindi si può immagine che senza interventi del Governo i rincari delle bollette saranno del 17% per quelle dell’elettricità e del 27% per quelle del gas. La decisione finale spetta all’Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), che certamente tenterà qualche intervento, con l’aiuto del Governo, per limitare gli aumenti.
Colpisce più che altro il +27% previsto per le bollette del gas in un periodo dell’anno dove i consumi sono più ridotti.
Il problema è che abbiamo avuto il primo ammanco fisico che stavamo temendo da quasi un anno: a metà giugno, infatti, Gazprom ha cominciato a ridurre in maniera significativa le forniture ai Paesi europei. Pertanto, l’azzeramento dei flussi dalla Russia non è più improbabile, ma diventa anzi molto probabile e i prezzi del gas hanno reagito a questo nuovo dato di fatto.
Nel terzo trimestre potrebbe quindi esserci un ulteriore aumento?
Sì. Ovviamente i mercati scontano i prezzi futuri, quindi in parte contemplano già gli ammanchi che potranno esserci all’inizio dell’inverno.
Intanto il Paese sta facendo i conti anche con l’emergenza siccità: può portare problemi nella produzione di energia elettrica, soprattutto al nord?
Certo. Il 70% dei consumi elettrici italiani avviene al nord, dove vi è anche la gran parte della produzione, oltre che delle importazioni. La scarsità di acqua incide non solo sui livelli di produzione idroelettrica, ma anche sul raffreddamento delle centrali presenti nella Pianura Padana, che hanno dovuto quindi ridurre la loro attività. Questo comporta l’aumento della produzione in altre regioni, ricorrendo a cicli combinati a gas, o una maggior importazione di energia. È ovviamente un problema solo estivo.
Che però non aiuta ad aumentare le scorte di gas.
Sì, è così: la diminuzione della produzione idroelettrica forza la produzione via gas che potrebbe essere altrimenti destinato allo stoccaggio.
La scorsa settimana, a seguito della riduzione delle forniture di gas russo, ci sono stati due vertici al Mite, chiusi con la decisione di non alzare il livello di allerta e rassicurazioni sul livello delle scorte in vista dell’inverno. Possiamo, quindi, stare tranquilli?
No, non possiamo stare tranquilli. Le bollette sono praticamente raddoppiate, i prezzi sui mercati sono aumentati di sei volte nell’arco di un anno, le scorte al momento sono alla metà del loro livello massimo e il Governo ha dovuto far ricorso a Snam per aumentarle e questo vuol dire che in futuro ci ritroveremo a dover pagare nelle bollette costi difficilmente oggi quantificabili. Noi arriveremo quindi sicuramente, con maggiori esborsi, ad avere le scorte praticamente piene a ottobre, ma questo non sarà sufficiente. Non è escluso che questo inverno si debba ricorrere ai razionamenti.
Sostanzialmente sta dicendo che le scorte piene non bastano a garantire un inverno senza razionamenti? Come mai?
Se non ci fossero le scorte il disastro sarebbe garantito, se riusciamo a riempirle abbiamo la probabilità di avere grossi problemi in alcuni giorni dell’inverno, un periodo nel quale il gas russo copre quasi un terzo di tutta la domanda. Se questa quota di offerta verrà a mancare bisognerà attingere agli stoccaggi effettuati. Il che vuol dire arrivare a fine inverno con scorte troppo basse. E in alcuni giorni non ci sarà sufficiente quantità per coprire la domanda: qualcuno resterà, quindi, senza gas o senza elettricità.
Esisterà un piano su questi possibili razionamenti…
Esistono quelli elaborati in passato in base ai regolamenti europei che definiscono lo stato di pre-allarme, allarme e di emergenza, ma sulla base di ammanchi momentanei, non per una catastrofe rappresentata dalla totale mancanza di un terzo dell’offerta. Un piano vero e proprio, perciò, non esiste. È vero che ci sono le imprese “interrompibili”, ma tagliando i loro consumi si arriverebbe a fare a meno di 5-6 milioni di metri cubi al giorno, troppo pochi in quei giorni in cui i consumi arrivano a 400 milioni di metri cubi e ci sarebbe pertanto bisogno di tagliare massicciamente: bisogna che qualcuno rimanga senza gas o elettricità.
Bisognerebbe fare allora come la Germania, che, dopo la decisione di alzare al livello 2 l’allerta sul gas, prevede di limitare già d’estate i consumi?
C’è un’importante differenza tra Italia e Germania: metà della nostra produzione di energia elettrica avviene usando gas, mentre per loro la quota è intorno al 10%. Nel Paese teutonico si consuma più gas, ma principalmente nella grande industria petrolchimica, quindi si potrebbe ricorrere a una riduzione della produzione, ma di sicuro non ci sarebbero cittadini lasciati al buio. Noi, invece, se dovessimo tagliare le forniture di gas alle centrali elettriche, rischieremmo dei blackout invernali, una cosa terribile. La Germania, a differenza nostra, ha tantissime centrali a carbone, oltre a quelle nucleari che sarebbe folle chiudere: dovrebbe essere l’Europa a chiedere che restino attive, perché altrimenti i tedeschi potrebbero dover attingere all’energia prodotta dalle centrali nucleari francesi; il che porterebbe a una riduzione dell’export potenziale verso l’Italia.
Dunque, non potremmo nemmeno contare sulle importazioni di energia elettrica.
Si potrebbe aumentare la quota di import dalla Francia, ma oltre a quanto appena detto sulla possibile “concorrenza” della Germania, non va dimenticato che il sistema transalpino ha parecchi problemi e dovrebbe essere sottoposto a manutenzione, quindi rischia di non esserci abbastanza energia da esportare. Brutalmente, la vera alternativa al gas russo è il buio, il freddo.
Non sono un’alternativa nemmeno il GNL o il maggior gas dall’Algeria?
Anche se, come visto in precedenza, le situazioni più complicate potrebbero verificarsi in determinati giorni, i calcoli risultano più semplici e chiari su base annuale. Dalla Russia l’anno scorso sono arrivati 29 miliardi di metri cubi di gas. Possiamo arrivare a sostituirne 15, sarebbe già un gran risultato. È chiaro che tra i 2.900 miliardi di metri cubi di produzione annua mondiale, ai prezzi attuali, se ne possono trovare altri. Il problema è che ci vuole tempo, servono anni.
Anche i famosi rigassificatori galleggianti potranno essere pronti, si dice, alla fine dell’inverno…
Se tutto va bene. Se fossimo in guerra i tempi sarebbero probabilmente più rapidi, ma ci sono tutti gli iter autorizzativi da rispettare, la burocrazia, senza trascurare il rischio di interventi giudiziari. Se rimaniamo al buio non sarà una tragedia: meglio che essere sotto le bombe. Bisogna dirlo, però, bisogna dire chiaramente che se non vogliamo restare al buio bisogna ricorrere a uno stato di emergenza, che permetta di superare questi problemi legati alle regole e alle tempistiche, e a un super-commissario, com’è stato Figliuolo per la pandemia.
Bisognerebbe aumentare anche l’estrazione nazionale di gas.
Certo. Il fatto che non si prenda coraggiosamente questa strada rappresenta un delitto economico. Purtroppo, di fronte a questa crisi, sia in Italia che in Europa – basta guardare alla Presidente della Commissione von der Leyen e al vicepresidente Timmermans – continuano a comandare gli ecologisti spinti. Vedremo adesso cosa accadrà sul petrolio: la gente si lamenta dei due euro e passa al litro della benzina, ma la salita del greggio non è finita.
La situazione in effetti molto seria, il taglio da 30 centesimi del Governo è già stato quasi tutto assorbito dai nuovi aumenti.
Tutti possono verificare, cercando su internet “Mise prezzi settimanali benzina”, i dati raccolti dal ministero dello Sviluppo economico e l’andamento storico tramite un grafico. Si può quindi vedere che prima dell’intervento del Governo il prezzo della benzina era a 2,2 euro al litro, mentre oggi se non ci fosse questa riduzione di 30 centesimi al litro si arriverebbe a 2,36. Il mercato internazionale ha problemi gravissimi di sbilanciamento tra domanda e offerta. E se capitasse al petrolio quello che è capitato con il gas, la benzina la pagheremo 3 euro al litro. La gente però non l’ha capito, continua a sentirsi dire che bisogna aumentare le rinnovabili e che ci vuole l’auto elettrica.
Cosa vuol dire se capitasse al petrolio quello che è capitato con il gas?
Che può verificarsi in Europa una crisi simile a quella del gas perché un Paese produttore di petrolio ha problemi piuttosto che a causa di un aumento molto forte della domanda in qualche grande area economica. Bisogna stare attenti, perché in tutto il mondo non si vogliono fare investimenti in strutture che hanno a che fare con le fonti fossili, che siano gas, carbone o petrolio. E questo lo pagheremo, perché non c’è sufficiente capacità.
Un’ultima domanda: dopo il Consiglio europeo di settimana scorsa si è capito che se tutto va bene il tetto al prezzo del gas potrebbe essere fissato a ottobre. Sarà tardi?
Non sarà mai tardi, però c’è il rischio di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, perché il prezzo ormai è sopra i 130 euro/MWh e sicuramente sarebbe stato meglio fissare il tetto quando era almeno la metà.
(Lorenzo Torrisi)
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