Emmanuel Adebayor in una intervista al Daily Mail ha raccontato di avere pensato al suicidio quando aveva solo 16 anni. L’attaccante togolese era un giovane di belle speranze scovato dal Metz e si era da poco trasferito in Francia per inseguire il sogno di diventare un calciatore professionista. Situazione però non facile, a molte migliaia di chilometri da casa: Adebayor ne soffriva molto, fino al punto di pensare al suicidio. Nelle sue parole: “Avevo 16 anni. Tutto ciò che volevo era aiutare la mia famiglia ma avevo troppa pressione addosso e non riuscivo a sopportarla. Quando sei povero. in una famiglia povera c’è molta solidarietà, ma quando qualcuno ottiene qualcosa è come se dovesse qualcosa a tutti. Al Metz nel 2001 guadagnavo 3.000 euro al mese e volevano una casa da 500.000. Il club non era soddisfatto del mio comportamento e nessuno era felice di me”. Racconta così i momenti più drammatici, il giorno in cui davvero il togolese fu sul punto di farla finita: “Sotto il mio appartamento c’era una farmacia. Ho comprato pacchetti e pacchetti di pastiglie. Non me le volevano vendere, ma dissi che erano per una organizzazione benefica in Togo. Preparai tutto, mi bevvi l’acqua… era tutto pronto”.
EMMANUEL ADEBAYOR: VICINO AL SUICIDIO, POI…
Emmanuel Adebayor spiega però che cosa successe e di chi fu il merito di un suicidio mai avvenuto: “Chiamai il mio migliore amico a mezzanotte, mi disse di non fare cose affrettate, che avevo delle cose per le quali vivere: ‘Hai il potenziale per cambiare l’Africa’. Pensai.. ‘Sei un venditore di sogni e ora non sto comprando nessun sogno’. Questo mi ha fatto abbandonare l’idea di andarmene. Pensai che Dio avesse qualcosa in serbo”. Adebayor ha parlato del suicidio come pensiero ricorrente per anni, anche se poi la sua carriera è decollata e il togolese ha avuto molti anni felici giocando per club quali Monaco, Arsenal, Manchester City, Real Madrid e Tottenham, pur con qualche turbolenza a confermare un carattere non facile. Nel gennaio del 2010 Adebayor ha vissuto un’altra pagina nera della sua vita, quando l’autobus della nazionale del Togo fu assaltato da un gruppo di terroristi: “Per 42 minuti abbiamo sentito colpi d’arma da fuoco, da destra, da sinistra, di fronte e dietro. Sentivo solo i miei compagni urlare ma non potevamo muoverci o fare niente. Come capitano ho detto a tutti di chiamare le famiglie. Io ho chiamato la mia fidanzata e le ho detto ‘Io sto per andarmene’, e lei ‘Andare dove?’, lei era incinta. E le ho detto ‘Se nasce il bambino, se è un maschio, chiamalo Emmanuel Jr. Se è una bambina chiamala Principessa Emmannuela’. Lei ha risposto ‘Di cosa stai parlando?’ e allora le ho detto ‘Ti chiamo più tardi se sono ancora vivo’”.