Che Paul A: M. Dirac fosse un personaggio strano era già noto ma il profilo che ci restituisce questa biografia del fisico e scrittore Graham Farmelo documenta con abbondanza di particolari tale stranezza, toccando punte impensabili e probabilmente insuperabili. Se non fosse per l’originalità che spunta quasi da ognuna delle 698 pagine e per la curiosità che ne deriva nel tentativo di capire se ci sia stato qualcosa di più profondo (e a noi pare che ci sia stato) al di sotto di molti comportamenti stravaganti, il libro sarebbe poco leggibile; la sua struttura, in forma di diario meticoloso e prolisso, lo renderebbe poco avvincente: basi pensare che 29 dei 31 capitoli hanno come titoli una successione di date (ad esempio: “Aprile 1932 – Dicembre 1932”, a cui segue “Gennaio 1933 – Novembre 1933”).
Invece si tratta di un’opera leggibile e utile sia per aiutarci a comprendere sempre meglio cosa è successo in quel formidabile periodo della fisica moderna cha va dalla prima rivoluzione quantistica fino alla fisica della particelle; sia per mostrarci le molteplici sfaccettature che intervengono nel rapporto tra la personalità dello scienziato e la sua produzione scientifica.
Certo, Dirac è un caso estremo: sia per la particolarità del carattere, che secondo alcuni ha toccato il livello patologico facendo parlare addirittura di autismo; sia per l’acutezza delle intuizioni. Su queste infatti vale la pena soffermarsi, come fa Farmelo, considerando che il suo contributo alla sistemazione della meccanica quantistica – come poderosa sintesi tra l’approccio di Heisenberg e quello di Schrödinger e superamento del contrasto tra le due visioni – rappresenta una pietra miliare della fisica del 900. Come pure rappresenta un vertice dell’intuizione fisico-matematica e della capacità di teorizzazione la sua previsione dell’esistenza dell’antimateria, che tuttavia lui non vedeva come una pura astrazione «non devono essere considerati una funzione matematica: dovrebbe essere possibile scoprirli con mezzi sperimentali», diceva nel marzo del 1932, pochi mesi prima che Carl Anderson, senza conoscere le teorie di Dirac, annunciasse la scoperta dell’elettrone positivo (che qualcuno voleva chiamare “orestone”, da Oreste mitologico fratello di Elettra, e che Anderson battezzò come positrone).
Ma l’intuizione scientifica di Dirac è andata oltre; arrivando a ipotizzare i monopoli magnetici, a dare contributi a quella che poi sarebbe diventata la teoria delle stringhe, a coniare il termine – oggi ormai popolare, dopo le scoperte del Cern – “bosone”; e persino a parlare della quantizzazione del campo gravitazionale introducendo i fantomatici “gravitoni”.
Tutto questo nello stile di investigazione scientifica che gli era congeniale e che consisteva nel «cercare leggi generali sempre più elevate, affidandosi all’ispirazione matematica e non solo all’osservazione». Del resto lui stesso attribuiva grande importanza nello sviluppo della sua comprensione della meccanica quantistica a una disciplina apparentemente molto lontana ma che l’aveva affascinato nei suoi primi studi di ingegneria e cioè la geometria proiettiva. Quell’elemento profondo che possiamo individuare nella singolare e inaccessibile esperienza umana e conoscitiva di Dirac può essere condensato in un termine: bellezza; e ciò consente anche di riportare a una dimensione più “umana” le sue vicende e di trarre da una posizione che sembrerebbe unica e isolata degli insegnamenti validi per tutti. Fin dall’inizio, aveva sempre tenuto la bellezza delle teorie come criterio guida, una bellezza che si manifesta nelle equazioni; anzi che “deve” manifestarsi: «i ricercatori che vogliono trovare le leggi veramente fondamentali della natura in forma matematica dovrebbero cercarne la bellezza». Fino alle molte dichiarazioni di “fede fondamentalista nella bellezza”, come:«Dio è un matematico di livello altissimo e ha utilizzato leggi matematiche molto avanzate nel costruire l’Universo»; e all’affermazione su Scientific American – affascinante ma certo un po’ spinta – che «è più importante avere la bellezza nelle proprie equazioni che averle in accordo con gli esperimenti».
Affermazioni che hanno indotto molti a vedervi il riflesso di una posizione religiosa; che però Dirac non ha mai esplicitato. Anzi, semmai ha fatto più volte professione di ateismo. Anche se negli ultimi anni le riflessioni religiose l’avevano coinvolto molto di più e alcune su espressioni enigmatiche potrebbero preludere a qualche interiore ripensamento. E resta il commento della moglie davanti a una foto scattata alla Pontificia Accademia delle Scienze dove Dirac stringe calorosamente la mano a Giovanni Paolo II: «Paul e il Papa vanno così d’accordo!».
Graham Farmelo
L’uomo più strano del mondo – Vita segreta di Paul Dirac, il genio dei quanti
Raffaello Cortina Editore – Milano 2013
Pagine 698 – Euro 43,00
Recensione di Mario Gargantini
© Pubblicato sul n° 51 di Emmeciquadro