Mentre si avvicina il momento tanto atteso del voto al Senato per quanto riguarda l’elezione alla Corte Suprema del giudice Brett Kavanaugh che da giorni sta letteralmente spaccando gli Stati Uniti, si è intensificata in quel di Washington la protesta da parte di coloro che osteggiano la sua elezione per via delle accuse di molestie a suo carico. Infatti, contro il giudice scelto dal Presidente Donald Trump sono scesi in piazza centinaia di manifestanti, tra i quali anche alcuni nomi noti dello showbiz a stelle e strisce come ad esempio l’attrice Amy Shumer: sta destando invece molto clamore l’arresto di alcuni di questi manifestanti tra cui pare la stessa Shumer e pare anche della modella Emily Ratajkovski, secondo quanto comunicato da parte delle forze di polizia in quello che si preannuncia un giorno di fuoco, anche a seguito del voto che dovrebbe avere luogo attorno alel 16.30 ora italiana. (agg. R. G. Flore)
ALLE 16.30 IL GIUDIZIO FINALE
Sale altissima l’attesa per il voto del senato americano in merito all’elezione del giudice Kavanaugh alla Corte Suprema. Se tutto andrà come previsto il giudice otterrà la maggioranza con 51 voti a favore (quelli dei repubblicani) e 49 contrari (quelli dei democratici), ma nulla è da lasciare al caso visto che vi sarebbero 3 rep che sarebbero ancora incerti sul proprio voto, alla luce delle recenti accuse di molestie sessuali. Sulla questione è stata aperta un’inchiesta da parte dell’Fbi, ma secondo molti la stessa sarebbe stata svolta in maniera troppo frettolosa, e di fatto non ha fatto emergere alcuna novità significativa. A Kavanaugh serviranno 50 voti per avere l’ok del senato USA, e il voto è atteso alle ore 16:30 di oggi in Italia. Contro la sua elezione si sono mobilitati migliaia di manifestanti, mentre il New York Times ha pubblicato una lettera firmata da 2.400 professori di diritto che si oppongono appunto alla nomina del giudice di cui sopra. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
GIORNO DECISIVO PER KAVANAUGH
Oggi è il giorno decisivo per Brett Kavanaugh: il Senato si prepara alla votazione sotto i fuochi incrociati di Trump e degli oppositori alla Casa Bianca dopo il caso di presunto stupro emerso nelle ultime settimane sul candidato giudice presentato dal Presidente americano. I senatori repubblicani respingono in ogni modo l’accusa dei Dem che l’indagine dell’Fbi sulla presunta aggressione sessuale compiuta dal giudice sia stata affrettata e incompleta: Grand Old Party ha una maggioranza di 51 seggi al Senato contro i 49 dei democratici, ma ci sono tre senatori del GOP che sono tutt’altro che convinti dell’integrità di Kavanaugh. Per provare a difendersi al meglio il giorno decisivo per la sua nomina ufficiale, il giudice ha scritto al Wall Street Journal una sorta di arringa difensiva: «sono un gran lavoratore, equilibrato, aperto, indipendente e dedito alla Costituzione e al bene pubblico. Io venero la Costituzione credo che una magistratura indipendente e imparziale sia essenziale per la nostra repubblica costituzionale». Non solo, nel merito delle accuse Kavanaugh aggiunge «schiacciante frustrazione di essere accusato ingiustamente, senza prove, di una condotta orribile completamente contraria al mio comportamento e al mio carattere. La mia dichiarazione e le mie risposte hanno anche rispecchiato la mia profonda preoccupazione per l’ingiustizia di come questa accusa è stata gestita». Da segnalare intanto come Emily Ratajkowski, la celebre e bellissima modella, sia stata arrestata durante una manifestazione di protesta per la nomina di Brett Kavanaugh a giudice della Corte Suprema: qui tutti i dettagli.
#METOO CONTRO IL PRESIDENTE
Nella sua rubrica “Estremo Occidente” l’inviato di Repubblica, Federico Rampini, prova a sottolineare la mancanza di “presa” della corrente culturale #MeToo sulla destra americana, non solo nel Partito Repubblicano. «Due senatori repubblicani decisivi, Jeff Flake e Susan Collins, si stanno orientando al sì. Se è così, alla fine l’inchiesta dell’Fbi sarà servita come un alibi per darsi buona coscienza (“abbiamo fatto il nostro dovere”) e poi allinearsi agli interessi di partito e alle direttive della Casa Bianca», scrive Rampini che sposa la tesi della Ford contro Kavanaugh e dunque contro il “maschilismo” di Donald Trump. L’inviato Usa affonda ancora, «il movimento #MeToo ha un impatto forte all’interno dell’universo politico-valoriale progressista, ma non nell’opinione pubblica conservatrice. E’ quel che Trump ha intuito, lanciandosi all’attacco della Ford. Evidentemente sicuro che le donne repubblicane non si sposteranno». La vera domanda è se tale “tenuta” del trumpismo sulla destra Usa terrà anche alle elezioni di MidTerm del prossimo 6 novembre: di fatto, l’intero caso Kavanaugh è da leggersi come una sorta di “preambolo” a questa importante scadenza elettorale.
ATTESA PER LE VOTAZIONI DI DOMANI
Le indagini dell’Fbi in merito alle accuse di aggressione sessuale a carico del giudice Brett Kavanaugh si sono ufficialmente concluse, ed ora è Donald Trump, presidente Usa, a spingere per la conferma del suo candidato alla Corte Suprema parlando di accuse “totalmente non corroborate”. Il tycoon ha tenuto a ribadire quanto sia, quello attuale, un momento particolarmente delicato per l’intero Paese. In un tweet ha quindi ribadito che “Giusto processo, correttezza e buon senso sono ora alla prova”. Quindi il presidente Usa ha aggiunto con tono stizzito: “Questa e’ la settima volta che l’Fbi indaga sul giudice Kavanaugh. Se ne facessimo 100, non sarebbe ancora sufficiente per i democratici ostruzionisti”. L’Fbi, nell’ambito della sua indagine, ha preso in considerazione le accuse contro Kavanaugh da parte di tre donne. Oggi il rapporto supplementare della polizia sul caso del giudice è arrivato in Senato ma sono già numerose le polemiche. Ad essere criticato è stato soprattutto il mancato interrogatorio della principale accusatrice Christine Ford. “La parte più rilevante è quella che non c’è”, ha criticato la senatrice dem, Dianne Feinstein. L’attesa è tutta per la giornata di domani, quando si svolgeranno le votazioni che si concluderanno ufficialmente sabato. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
INDAGINI FBI CHIUSE: IL COMMENTO DI TRUMP
La storia, in fondo è molto semplice: Brett Kavanaugh è il candidato giudice scelto da Donald Trump per la nomina alla Corte Suprema ma nel momento in cui è emerso il suo nome, una donna – Christine Blasey Ford – ha denunciato pubblicamente che quando era ragazza proprio quel Brett cercò più volte di stuprarla (verso gli inizi degli Anni Ottanta). Da qui, un caso ormai completamente nazionale, che mette di fronte ancora una volta i pro-contro il Presidente Usa sul delicato e scottante “caso” delle molestie alle donne (sulla scia del semprepresente “meToo”): dopo la testimonianza davanti ai giudici della Ford (guardata da diversi milioni di americani letteralmente rapiti dall’ennesimo “affaire” anti Trump, ndr), sono arrivate le indagini dell’Fbi, come voluto dal Presidente, e le fortissime critiche degli oppositori politici del tycoon, ovvero tutto il Partito Democratico statunitense. È invece di poco fa la replica, l’ennesima, del Presidente Usa in un tweet: «le accuse di aggressione e violenza sessuale sono totalmente non corroborate». La difesa di Trump a Kavanaugh non rappresenta “solo” il tentativo di blindare il “suo” uomo alla Corte Suprema ma un modo neanche tanto nascosto di combattere in prima persona la “corrente femminista” che vede in Trump un simbolo del più “bieco e orrendo” maschilismo, una sorta di “discepolo” di Weinstein.
IL CAOS SULLA INDAGINE FBI
Inquadrata la vicenda, non resta che vedere cosa sta succedendo nelle ultime ore letteralmente infuocate negli States: «Questo è un momento molto importante nel nostro Paese. Giusto processo, correttezza e buon senso sono ora alla prova», ha twittato il tycoon, con la replica inferocita dei democratici, «L’indagine dell’Fbi è molto incompleta». Già, il rapporto dell’Fbi voluto da Trump per provare a “scagionare” Kavanaugh è tutt’altro che sereno: «Non c’è “nulla” nel rapporto del Fbi sul giudice Brett Kavanaugh che confermi le accuse di aggressione sessuale mosse nei suoi confronti», ha detto il presidente repubblicano della Commissione Giustizia al Senato, Chuck Grassley scatenando la reazione dei democratici che non accettano un intero caso giudiziario in cui la Casa Bianca potrebbe esercitare un grosso peso di “influenza”. «E’ una indagine molto limitata, la parte più rilevante è quello che non c’è», ha dichiarato la senatrice Dianne Feinstein; la tesi di Trump e dello stesso giudice in pole position per la Corte Suprema considerano la storia raccontata da Christine Blasey Ford come “completamente inventata”. Lo scontro è acceso e ancora una volta è teatro di un obiettivo ben più “ampio”: il “detronizzare” il nemico n.1 inquilino della Casa Bianca.