GUERRA IN YEMEN/ I giochi di Arabia ed Emirati per il controllo del paese
In seguito alla visita del Papa si sono accesi i riflettori sugli Emirati Arabi, mettendo in luce il loro rilevante ruolo non solo economico-finanziario

L’accorata richiesta di Papa Francesco per la pace in Yemen, prima e durante la sua visita negli Emirati Arabi Uniti (Eau), ha riportato all’attenzione generale questa disastrosa guerra, che dura ormai da quattro anni e che ha portato il Paese, già il più povero tra gli Stati arabi, in una gravissima crisi umanitaria. Gli Emirati, insieme all’Arabia Saudita, sono i più attivi nella guerra condotta da una coalizione internazionale contro gli Houthi sciiti in difesa del governo yemenita sostenuto da Riyadh. Infatti, accanto alla fornitura di armi e all’appoggio aereo, sono presenti direttamente sul territorio.
La coalizione è al centro di sempre più diffuse critiche per il numero di vittime civili attribuite ai bombardamenti aerei e all’uso di bombe a grappolo, particolarmente letali. Ciò ha portato il Congresso degli Stati Uniti, con la partecipazione anche dei Repubblicani, a chiedere restrizioni alla vendita di armi ad Arabia Saudita ed Eau, insieme a un maggior controllo di come queste armi vengono usate. Queste richieste continuano però a trovare l’opposizione di Donald Trump, che ha minacciato di porre il veto a eventuali decisioni del Congresso.
Come spesso in Medio Oriente, la situazione yemenita è più complessa di quanto appaia e non è limitata allo scontro tra governo sunnita e ribelli sciiti: tra le fazioni che si combattono vi sono anche sostenitori di un precedente governo sunnita, estremisti salafiti, milizie collegate ad al Qaeda e ai Fratelli musulmani. Senza dimenticare i conflitti tipici di una società ancora fortemente tribale. In questa situazione sorge un’ulteriore preoccupazione circa i reali destinatari delle armi fornite a sauditi ed Emirati. Infatti, pare che questi armamenti siano oggetto di commercio e che siano pervenuti anche ad al Qaeda e agli Houthi, contro i quali dovrebbero essere usati.
La visita del Papa ha avuto un grandissimo valore per i numerosi immigrati cattolici che lavorano negli Emirati e ha gettato quanto meno un seme per una più ampia collaborazione tra cristiani e musulmani, ma ha avuto anche un indubbio effetto positivo sull’immagine degli Eau. Gli Emirati sono da tempo considerati un Paese moderno e un solido soggetto economico e finanziario, ma la visita papale ha posto in rilievo la loro tolleranza religiosa, anche se tale è soprattutto di fronte alla chiusura di altri Stati islamici, come la vicina Arabia Saudita. Infatti, dalla parte più “rigorosa” di questo Paese la visita del Papa è stata considerata quasi un atto sacrilego nei confronti di una penisola araba culla dell’islam.
Questo risultato è tanto più significativo in un momento in cui gli alleatiyemen-concorrenti sauditi sono in non trascurabile difficoltà per l’affaire Khashoggi, il giornalista ucciso nel consolato saudita di Istanbul, attribuito direttamente o indirettamente al principe ereditario Mohamed bin Salman, uomo forte del regime saudita. Negli ultimi tempi gli Emirati hanno affiancato all’intervento militare un programma di aiuti umanitari e si propongono come possibili protagonisti di un percorso di pace, di cui un primo passo potrebbe essere la fragilissima tregua concordata per il porto di Hodeida. Questo porto è essenziale per l’arrivo dei soccorsi umanitari sempre più necessari per il popolo yemenita.
La presenza militare degli Emirati è particolarmente forte nella regione di Aden, dove sembrano appoggiare fazioni locali che vorrebbero un’autonomia di Aden dal resto dello Yemen. Non credo necessario ribadire l’importanza strategica del porto di Aden, accesso al Mar Rosso e al Canale di Suez, e sarà perciò bene tenere sotto osservazione la politica estera degli Emirati e non considerarli più come una semplice appendice di Riyadh.
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