Il dramma venezuelano continua e il mancato arrivo di alimenti, ma in particolar modo di medicinali, lo ha trasformato in un girone infernale. Mercoledì si è assistito a un episodio che riassume tutto questo: un sergente della Guardia Nacional Bolivariana, Josè Gomez, si è consegnato, o meglio, messo agli ordini del Presidente ad interim Guaidó a Cùcuta, città colombiana di confine. In lacrime, ha spiegato il suo gesto riferendosi a suo figlio di appena 15 mesi, morto per assenza di cure. La situazione generale versa in uno stallo che già si è realizzato altre volte dopo incontri diplomatici nei quali il dittatore Maduro si è burlato di tutti, prendendo tempo per poi regalarci deliranti discorsi atti a coprire la drammatica situazione del Paese.
Questa volta però la pressione internazionale è grande e pare che pure l’Onu, una organizzazione della quale si discute da anni l’utilità, visto che appare più un ricco club radical chic per la sua lontananza dai problemi del mondo, si stia svegliando dal torpore, soprattutto a causa del gigantesco successo mondiale del megaconcerto dedicato al Venezuela della settimana scorsa, evento che ha registrato una delle maggiori audience mai viste.
Mercoledì poi a Buenos Aires c’è stata la visita improvvisa del nostro ministro degli Esteri Moavero Milanesi, nella quale sono stati firmati altri accordi oltre a quelli già siglati lo scorso anno nel corso della visita di Mattarella. E successivamente allargati con un bellissimo progetto, frutto del lavoro dell’efficiente entourage della nostra Ambasciata e nato da un’idea di Giuseppe Manzo, Ambasciatore, e dell’ex primo Ministro Salvatore Napolitano: organizzare una rete di contatti tra le province italiane e quelle argentine per poter sviluppare capillarmente progetti comuni che servano a mettere in moto, finalmente, quella fratellanza-amicizia mai sufficientemente approfondita e messa in essere, nonostante accordi firmati negli ultimi 40 anni e poi decaduti. Importante il progetto di coinvolgimento delle piccole e medie industrie dei due Paesi e quello di uno sviluppo dell’insegnamento dell’italiano.
Dovrebbe quindi essere la volta buona, ma, nel corso della dichiarazione congiunta che ha fatto seguito all’incontro svoltosi a Palazzo San Martin, sede del ministero degli Esteri Aargentino, con il suo pari Jorge Faurie, le uniche due domande permesse (una per ogni Ministro) hanno riguardato il Venezuela. E qui Moavero ha dovuto spiegare la posizione italiana, fugando i dubbi sorti anche dopo che l’Italia ha aderito, a Montevideo due settimane fa, all’accordo quasi globale sulle misure da prendere per risolvere la questione. In pratica è stato confermato che il nostro Paese aderisce completamente al documento sottoscritto in Uruguay, i cui punti salienti sono fondamentalmente quattro: in primis l’emergenza alimentare e sanitaria (messa poi in moto il 23 con la risposta di Maduro che tutti conoscono), quindi il non riconoscimento di Maduro come presidente e conseguentemente del risultato delle elezioni del maggio 2018. Punto estremamente importante, perché non si era capito bene come il nostro Paese mantenesse un’equidistanza, almeno in alcune dichiarazioni governative, tra Maduro e Guaidó, fatto ribadito anche dall’assenza di rappresentanti dei 5 Stelle agli incontri governativi sostenuti dalla missione inviata da Guaidó a Roma due settimane fa per tentare di chiarire la situazione.
Il terzo punto, sul riconoscimento dell’Assemblea Nazionale come organo esecutivo del Venezuela, implica pure quello di Guaidó, la cui Presidenza ad interim è frutto di una decisione dell’Assemblea stessa. Infine, la decisione più importante: il rifiuto totale dell’uso delle forze militari per risolvere la questione, fatto ribadito da molte nazioni americane nel corso della riunione dell’Osa a Bogotà.
Tornando diretti alla situazione venezuelana, mentre continuano i negoziati per la riapertura della frontiera con il Brasile, dopo gli scontri che si sono verificati lo scorso fine settimana e che hanno purtroppo coinvolto pure indios nativi, “colpevoli” di far passare aiuti attraverso le vie fluviali da loro conosciute, l’agenzia Reuters ha diffuso una notizia confermata dal deputato dell’opposizione a Caracas, Angel Alvarado: gran parte dell’oro della riserva è stato ritirato da Maduro la settimana scorsa, quando mancavano guardie di sicurezza, proseguendo quanto fatto in tempi recentissimi, quando 23 tonnellate sono state inviate in Turchia e altre 20 non si sa bene che fine abbiano fatto. Attualmente le riserve auree del Venezuela ammontano a circa 140 tonnellate, la quantità più bassa degli ultimi 75 anni.
Il fatto si presta a molte interpretazioni, ma principalmente si osserva che ormai il regime pare essere arrivato al punto di organizzarsi una fuga dorata, anche perché la situazione economica è arrivata al punto tal da non poter più garantire il pagamento dei contratti stipulati anche con gli “alleati” Russia e Cina. Non per nulla la vicepresidente Delcy Rodriguez, pasionaria madurista, si trova a Mosca ufficialmente per avere l’appoggio di Putin, ma secondo alcuni per preparare l’uscita di scena del regime.
Un’indagine nazionale sulle condizioni di vita della popolazione fornisce dati assolutamente spaventosi sulla situazione del Paese, con l’89% delle famiglie senza un reddito sufficiente per comprare alimenti e dove lo stipendio medio ammonta a soli 6 dollari. Dati allucinanti che mettono alle corde un regime tra i più violenti di questi anni e che tutti sperano sia giunto alla fine in un avvicendamento sul quale sono in corso trattative che dovrebbero poter evitare il bagno di sangue che alcuni settori internazionali, ma anche nell’opposizione venezuelana, considerano l’unica soluzione rimasta.