STRAGE A SCUOLA IN BRASILE/ C’è un mistero da guardare o per tutti sarà solo un film

- Adriano Gaved

A Suzano due ragazzi hanno ucciso 8 studenti. Ma volevano ammazzare tutti. Ma che percezione avevano di sé mentre riempivano i loro zainetti prima di uscire?

sparatoria brasile san paolo 640x300 Brasile, sparatoria in scuola a San Paolo

RIO DE JANEIRO — Un’altra. Ci si ferma alle parole: “strage in una scuola media”. Per immedesimarsi ci vorrebbero energie nervose, da non sprecare per un film già visto. Come se un film facesse capire cosa vuol dire sentire le prime grida, e i rumori, il barricarsi in aula, aspettare, sudare, vedere amici morire, o morire.

Due ragazzi hanno ucciso il proprietario di una concessionaria, hanno rubato una macchina, sono entrati nella loro ex-scuola. E hanno cominciato a sparare: “Non volevano rubare o vendetta, volevano ammazzare tutti”. Si sono fermati a 8, prima di suicidarsi all’arrivo della polizia. Il più vecchio avrebbe compiuto 26 anni sabato. Di loro, a parte il nome, non si sa nulla. Pare che fossero appassionati di videogiochi violenti.

Suzano è una città industriale a un’ora da San Paolo. Ci abitano 300mila persone, non si sta male. Questa non è la violenza “normale” del Brasile, anche se questo è il quinto caso in 10 anni: tre scuole, uno shopping e la cattedrale di Campinas. I giornali chiamano i due giovani “delinquenti”, ma cosa abbiano in comune con i trafficanti in guerra per il controllo delle favelas o con gli scippatori con la pistola in tasca non è chiaro.

Quello che è invece chiarissimo è il meccanismo politico che si è messo in moto, noioso per quanto è prevedibile. Solo qualche settimana fa, in sacrificio d’immagine alle promesse elettorali, Bolsonaro ha reso più semplice possedere armi, ma solo per tenerle in casa. Aprire al porto d’armi è decisione del Congresso, ed è tutt’altra storia. Naturalmente, ora il caso prova la posizione che si ha già: l’opposizione accusa la nuova regolamentazione (ma le armi che hanno sparato a Suzano sono illegali) e il governo lo Statuto del Disarmo – una delle leggi più restrittive al mondo – in vigore dal 2003.

“Se sono fuori legge solo i fuori legge avranno le armi” e “Non ce n’erano troppe di armi in quella scuola, ce n’era una di meno” ripetono con metallica logica circolare i pro-gun, strappando una pagina dal manuale dell’Nra statunitense (non ci credevo mentre, sulla spiaggia di Santa Monica, le sentivo recitare per la prima volta da una ragazza ultra-ultra-liberal, in California da anni – ma nata in Texas).

“Meno armi ci sono e meno spareranno” e “Lo Stato non può abdicare lasciando al cittadino il compito della sicurezza”, ma gli Stati Uniti – con 120 armi ogni 100 abitanti (!) contro le 9 del Brasile – hanno in proporzione la metà delle morti per armi da fuoco, e oggi non sono riuscito a convincere della seconda Lenilson, ex-militare e autista di Uber, che qualche giorno fa si è trovato in un tunnel nel centro di Rio, bloccato come tutti da un tipo con “una 38 arrugginita”, mentre i suoi compari passavano tra le macchine a ritirare soldi, orologi e telefonini (non cercate su Internet, è un caso che non fa notizia).

Su una cosa però i pro-gun hanno ragione: non uccidono le pistole, ma gli uomini. Che percezione di sé avevano Luiz e G.T.M. mentre riempivano i loro zainetti prima di uscire? Cosa desideravano? Un Fortnite (un videogioco, ndr) più reale? “Sentire” qualcosa?

O entriamo in questo mistero o saremo condannati a rivedere versioni sempre più estreme di questo film. Qualunque siano le leggi.





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