CAOS AUSTRIA/ Strache, quella domanda (sulla politica) ormai dimenticata
Hans Christian Strache, vicecancelliere dell’Austria, si è dimesso in seguito alla diffusione di un video. Una trappola ordita da Der Spiegel e Sueddeutsche Zeitung

Il caso Strache mostra le due facce della politica europea: da un lato, il furore anti-populista che imperversa nell’establishment filo-Ue, dall’altro la pochezza oggettiva di chi cavalca le voci sgangherate della società e, raccogliendo consensi, pensa di aver chiuso la partita con la politica.
Certo, si dirà che la bomba a orologeria è scattata anche stavolta, nell’ex impero austroungarico. Legittimo sospetto. Ma, al fondo, coltivando la memoria di ciò che la politica è stata, perfino in un recente passato, non è possibile non constatare come farsi beccare in un video fra un’adescatrice e un sensale significhi essere un minus habens.
Ed è questo il punto più nitido e ormai acclarato, dal mio punto di vista: l’azzeramento della politica non è soltanto l’assenza di ogni dimensione strategica e visione di lungo periodo, ma anche l’idea che il consenso popolare legittimi ogni mossa, azione e idiozia. Ossia, dietro il sovranismo, il nulla? Forse. Le urne magari diranno altro, sempre nel segno della pura matematica, ma la storia dei pifferi di montagna, sempre rievocata dall’ultimo grande politico italiano, Bettino Craxi, la conosciamo tutti: volevano suonare e invece furono suonati.
Questa miscela di becera attitudine al dogmatismo sprezzante e di plebea ingenuità, tipica dello stalliere che si trova a tavola con i regnanti, emersi, entrambi, anche nel caso Strache è la cifra più chiara dell’ultimo tornante postmoderno della demagogia in mano ai narcisisti. Del resto, tutto torna: il narcisista evidenzia i suoi tratti non tanto perché si specchia nella pozza d’acqua, quanto perché sospetta che anche altri possano fare la stessa cosa, non vedendo tutto il bello che lui vede, contemplando se stesso. Il narcisista è costitutivamente un paranoico, ha bisogno di un nemico pronto all’uso e chiede scusa, negando di aver fatto qualcosa di male (“che c’è di male?”). Ma la domanda è sempre un’altra: che c’è di bene o di buono, scegliete voi, in tutto questo? Avendo censurato questa domanda, non credo sia casuale, una categoria come quella di bene comune è uscita, di schianto, dalla vita pubblica. E, alla fine, i nodi tornano sempre al pettine.
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