EUROPEE 2024/ “Perché un patto tra Ppe e conservatori sarebbe un danno per l’Ue”

- Antonio Magliulo

L'anno prossimo si vota per il rinnovo degli organi europei. Occorre evitare un patto tra conservatori e Ppe: un matrimonio dannoso il cammino dell'Unione

green deal Il parlamento europeo, sede di Strasburgo (LaPresse)

Caro direttore,
“Questo matrimonio non s’ha da fare”. Nel 150esimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni non è del tutto fuori luogo citare la celebre frase. Manzoni, com’è noto, si riferiva al matrimonio d’amore tra Renzo e Lucia. Qui ci si riferisce, molto più prosaicamente, al matrimonio politico tra popolari e conservatori che si va delineando in vista delle elezioni europee del prossimo anno.

Perché non s’ha da fare?

Che i preparativi siano in corso è del tutto evidente. Weber e Meloni, leader dei rispettivi movimenti, si sono incontrati più volte e nessuno pare aver sollevato obiezioni sostanziali. Lo schema di rifermento è quello anglo-italiano. In Gran Bretagna la competizione è tradizionalmente tra conservatori e laburisti a cui si è aggiunta, più di recente, la terza forza dei liberaldemocratici. In Italia sta accadendo qualcosa di simile con la sinistra e la destra che si compattano e una terza forza liberaldemocratica che cerca uno spazio al centro. Molti ritengono che questo sia anche il destino dell’Europa. Dopo gli anni della grande coalizione tra popolari (Ppe) e socialisti (Pse) sembra giunto il momento di tornare ad una fisiologica competizione tra destra e sinistra con un residuale e marginale ruolo lasciato ai liberaldemocratici di Macron.

Il prossimo anno 400 milioni di cittadini, appartenenti a 27 Paesi europei, eleggeranno il nuovo parlamento attivando un processo che porterà al rinnovamento anche dei vertici della Commissione europea e del Consiglio europeo.

L’Europa, scriveva nel 1935 Marc Bloch, nasce quando l’Impero Romano muore. l’Europa è innanzitutto un’opera cristiana. Per secoli è stata, essenzialmente, un’unione culturale di popoli che condividevano la stessa fede, che generava comuni valori di solidarietà e considerazione per la dignità umana. Poi, molto più tardi, è diventata anche un’istituzione, ed anche in questo caso si è trattato principalmente di un’opera cristiana. I padri fondatori dell’Europa politica – Adenauer, Schuman e De Gasperi – appartenevano infatti a partiti di ispirazione cristiana.

Il processo politico di unificazione europea inizia nel secondo dopoguerra e non è ancora terminato. Negli anni di guerra si svolse un esaltante dibattito sulla strategia da seguire per unire l’Europa che vide tra i protagonisti Altiero Spinelli, Luigi Einaudi e tanti altri. Tutti erano a favore dell’Europa, innanzitutto per assicurare la pace, ma anche per gestire problemi economici e sociali che avrebbero assunto una dimensione sempre più sovranazionale. Ma l’idea d’Europa era significativamente diversa. Spinelli, per esempio, pensava ad un federalismo di matrice socialista che assorbisse in sé gli Stati nazionali, riducendoli a entità regionali, e sviluppando una politica economica dirigista orientata a garantire la piena occupazione e l’equità distributiva. Einaudi, al contrario, pensava ad un federalismo liberale che, limitando le sovranità nazionali, contenesse anche il ruolo della politica nell’economia. Il federalismo dei cattolici, infine, si ispirava ai principi di sussidiarietà e solidarietà e immaginava un’Europa che trasferisse al centro soltanto i poteri necessari ad assolvere funzioni che non potevano più essere assolte a livello decentrato.

Nel secondo dopoguerra, nell’impossibilità di creare subito istituzioni federaliste (un parlamento e un governo europeo) tra Paesi che erano stati fino a pochi mesi prima sui campi di guerra, l’Europa scelse di seguire un approccio funzionalista, avviando un processo di progressiva integrazione economica nella convinzione che esso avrebbe infine condotto e richiesto una forma di unificazione politica. Ma, fin dall’inizio, era chiaro che lo scopo non era l’Europa economica ma l’Europa politica ovvero, come recitano i maggiori trattati europei, a partire da quello di Roma del 25 marzo 1957, “un’unione sempre più stretta tra i popoli europei”. È così che occorrono circa quarant’anni, dal 1950 al 1990, per costruire un mercato interno europeo e cioè uno spazio economico in cui è garantita la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali (le cosiddette quattro libertà) e poi, subito dopo, occorrono altri dieci anni (dal 1992 al 2002) per creare una moneta unica, l’euro, e infine, dopo lo shock pandemico, con il Next Generation Eu, inizia la difficile e incerta fase dell’unione fiscale e cioè della condivisione del debito sovrano.

Oggi l’Unione Europea è impegnata a costruire una democrazia sussidiaria che, senza disconoscere le identità e le sovranità nazionali, rafforzi istituzioni comunitarie che siano in grado di gestire fenomeni epocali sovranazionali: dall’economia alla politica estera. È impegnata a promuovere uno sviluppo sostenibile in grado di creare occupazione, ridurre le disuguaglianze (personali, territoriali e di genere) e proteggere l’ambiente.

C’è infine la questione più importante e divisiva: quella della vita, dal concepimento alla morte, e della famiglia, tradizionale e nuova. Per molti è su quest’ultimo fronte che si giustifica, e anzi si rende necessaria, un’alleanza tra popolari e conservatori. Occorre alzare un argine per fermare la marea di modernismo che monta da sinistra.

Mi domando quanto sia solido quell’argine. Mi domando se sia possibile aiutare una donna che ha deciso di abortire gridandole sei un’assassina, se sia possibile dialogare con un ragazzo di sesso maschile che sente un’identità femminile pensando che sia un mostro o con una donna che desidera intraprendere un percorso di fecondazione artificiale ritenendo che sia in ogni caso un reato. Non sto parlando di buone maniere. Non sto dicendo che non si tratta di temi sensibili. Temo la cultura di destra che irride e colpevolizza i diversi, dai migranti ai transgender, e temo che possa diventare egemone fagocitando il centro popolare. Lo dimostra la stessa esperienza anglo-italiana a cui in fondo ci si richiama. Nell’esperienza politica britannica è assente un partito di chiara ispirazione cristiana e, forse non a caso, si è giunti alla Brexit mentre in Italia una forza politica postfascista, che oggi si appella all’unità ma che è stata l’unica ad opporsi al governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi per fronteggiare l’emergenza sanitaria, ha egemonizzato, insieme alla Lega, la destra.

Il Partito popolare europeo torni alla propria, originaria, ispirazione cristiana continuando a costruire un’Europa sussidiaria, solidale, aperta alla collaborazione transatlantica ma non subalterna agli Stati Uniti. Anche sui temi etici, dalla vita alla famiglia, ritrovi la propria originaria identità ricercando un dialogo con tutte le forze politiche senza mai dimenticare la sacra dignità di ogni persona umana e senza demonizzare il “diverso”. E ricerchi un’alleanza politica con altre forze di centro come la Renew Europe di Macron. Un’alleanza di centro può vincere le elezioni, collocando conservatori e socialisti nel loro naturale ruolo di radicali partiti alternativi, e ricercare da una posizione di forza un’intesa istituzionale per il bene comune.

Perché questo matrimonio tra popolari e conservatori non s’ha da fare? Perché è un matrimonio di interessi (di potere) e non di amore (politico). Per di più, è un matrimonio che conviene solo alla destra. E soprattutto, non conviene all’Europa, che rischia di interrompere il difficile processo di unificazione (sussidiaria) e di regredire verso una (debole) confederazione di Stati nazionali sovrani.

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