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Home » Esteri » Usa » EUROPEI “PARASSITI”/ Ma a Trump servono i Paesi Ue e non può regalarli alla Russia

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EUROPEI “PARASSITI”/ Ma a Trump servono i Paesi Ue e non può regalarli alla Russia

Giorgio Laici
Pubblicato 26 Marzo 2025
Rubio con Trump alla Casa Bianca

Marco Rubio, Segretario di Stato Usa durante il vertice Trump-Zelensky (ANSA-EPA 2025)

Gli USA proteggono la loro economia e minacciano dazi, ma l’Europa resta importante per Trump, che deve impedirne una saldatura con la Russia

Uno dei fronti caldi della comunicazione trumpiana è quello dei dazi. Per quanto riguarda noi europei, la sua uscita con un post su Truth il 13 marzo scorso recitava: “L’Unione Europea è una delle autorità fiscali e tariffarie più ostili e abusive al mondo… è stata creata con il solo scopo di trarre vantaggio dagli Stati Uniti”. Su questa linea è anche l’ultimissimo epiteto affibbiato all’Europa, quello secondo cui gli europei sono dei “parassiti”. Il presidente lo ha detto nelle ultime ore commentando le confessioni politiche trapelate dalle chat dei più alti uomini dell’amministrazione, le stesse dalle quali sono emersi i piani per lo Yemen.


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Se usciamo dagli aspetti più coloriti di queste vicende e ci fermiamo ai fatti, occorre rilevare che i dazi sono la misura di politica economica più coerente con la nuova postura trumpiana. Per dare un’idea di ciò che intendono negli USA per dazio, basta leggere Il sistema nazionale dell’economia politica di Friedrich List, un classico che illustra quella che può essere definita la pedagogia dei dazi. Per capirne invece l’applicazione basta leggere i testi del premio Nobel Joseph Stiglitz, in particolare La globalizzazione che funziona, dove l’autore spiega con minuzia tutto il sistema di barriere tariffarie e non tariffarie che gli USA deplorano negli altri, ma alzano da sempre a difesa del loro mercato.


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In questo caso, nonostante Trump, nessuno dei suoi predecessori al suo posto avrebbero agito diversamente. Anche se magari altri non avrebbero seguito lo schema di duro aut-aut dazi e USA fuori dalla NATO in cambio di riarmo.

Il perché ce lo dicono i numeri. Alla fine della Seconda guerra mondiale, negli USA si trovava il 50% del Pil mondiale, oggi siamo sotto il 30%, con UE e Cina che quotano intorno al 15% e Pechino che pensa solo ad esportare. Le risorse si sono moltiplicate, ma la torta si divide in altre grosse fette. Quando a Bretton Woods nel 1944 fu sancita la convertibilità del dollaro in oro a tasso fisso, la FED (Federal Reserve) deteneva il 70% delle riserve auree mondiali. Quando nel 1971 sotto Nixon fu abbandonata la convertibilità, le riserve auree erano scese al 40%. Obama impedì di divulgare ulteriori statistiche sulle riserve auree quando queste arrivarono al 10%.


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In quelle condizioni gli USA dovevano comporre, come in un colossale risiko, quattro esigenze. Smaltire un forte surplus di produzione interna sia agricola che industriale; aiutare l’Europa a rialzarsi subito, sia gli alleati prostrati dalle spese di guerra, sia i vecchi nemici distrutti; impedire che il comunismo dilagasse in Europa, creando condizioni di vita inimmaginabili oltre la cortina di ferro; difendere militarmente il continente dalla minaccia sovietica.

Con il Piano Marshall furono sciolti i primi tre nodi. Con i circa 13 miliardi di dollari di fondi che fluirono in Europa i destinatari del piano acquistarono beni americani a prezzo concordato, spesso molto alto, creando una potente leva keynesiana di qua e di là dell’Atlantico, che liberò gli USA dal surplus senza generare inflazione. Fu la miccia del boom economico, soprattutto tedesco e italiano, mentre a Est si palesavano tutti i problemi dei sistemi comunisti.

In quell’occasione i legami commerciali sulle sponde atlantiche furono il volano per le due economie. Con l’Organizzazione del Patto Nord Atlantico (NATO) fu sciolto il quarto nodo, creando rapidamente una deterrenza militare che gli europei non avrebbero mai potuto raggiungere nei tempi richiesti.

Oggi le condizioni sono cambiate, come abbiamo visto, e gli USA non possono impegnarsi come prima, per non rischiare l’implosione del loro sistema economico. Ma Trump non può abbandonare l’Europa, per la sua valenza economica e strategica: deve evitare la connessione tra Europa, principalmente Germania, e Russia, primari competitori geopolitici continentali di Washington.

Sta quindi ai nostri decisori attuare delle contromisure per garantire le migliori condizioni contrattuali in questa partita, senza arrivare allo scontro e soprattutto restando compatti e nel solco dei risultati che Jean-Claude Junker ottenne nel 2018 durante la prima amministrazione Trump.

Vale anche ricordare che, analogamente al suo predecessore Obama, Trump affermò alla sua prima elezione di voler azzerare il deficit commerciale a difesa dell’industria americana attraverso dazi e sanzioni e di riportare a casa tutti i militari a spasso per il mondo. Il risultato fu che durante il mandato il deficit commerciale americano peggiorò da 713 miliardi di dollari nel 2016 a 850 miliardi di dollari nel 2019. A fine mandato i militari all’estero, nonostante il ritiro da Afghanistan e Iraq, erano aumentati di 2mila unità in Germania. Questo per dire che anche oltreoceano c’è interesse al dominio commerciale e militare verso l’Europa.

Per concludere bisogna dire che, se anche l’opzione del riarmo europeo è sul tavolo, questa appare lontana e impraticabile fino alla formazione di un soggetto politico unitario europeo. In sua assenza, restano un riarmo in ordine sparso e la deterrenza disseminata tra vari attori indipendenti. USA, Cina, e Russia sono corpi politici unitari, in Europa abbiano ancora “dieci piccoli indiani”.

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Tags: Donald TrumpBarack Obama

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