Si era presentata in clinica per un ritocco, ma l’intervento di chirurgia estetico le si è rivelato fatale. L’ex modella Silvana Inserra è morta un mese prima di compiere 48 anni per una liposuzione. Aveva lasciato la penisola sorrentina per sottoporsi a Roma all’intervento. Si era sottoposta ad un primo intervento in una clinica privata in zona piazza Fiume, ma avendo riscontrato delle imperfezioni, aveva concordato col medico che l’aveva operata di procedere con un “ritocco”. Per questo il 4 febbraio dell’anno scorso l’ex fotomodella si era presentata in un’altra clinica in via Mantova. Come ricostruito da Il Tempo, erano presenti lo stesso chirurgo e la stessa anestesista del primo intervento. Tre ore dopo l’ingresso in sala operatoria, il marito della paziente è stato informato di alcuni episodi di bradicardia, ma era stato rassicurato.
I medici, infatti, gli avevano detto di non preoccuparsi perché l’anestesista aveva provveduto a ripristinare le normali condizioni. «Aggiungeva che non c’era alcun pericolo in quanto mia moglie era stata intubata, ma rispondeva a stimoli vocali e manuali», ha aggiunto poi l’uomo nella denuncia presentata al commissariato di polizia Salario-Parioli.
EX MODELLA MORTA DOPO LIPOSUZIONE: ANESTESISTA SOTTO ACCUSA
Ora l’anestesista della clinica che ha operato l’ex modella rischia di finire a processo con l’accusa di omicidio colposo. Al termine delle indagini preliminari, infatti, il pm Pietro Pollidori ha chiesto il rinvio a giudizio dell’anestesista perché durante l’intervento di liposuzione si è verificata una situazione di ipossia, come effetto farmacologico della sedazione, ma la dottoressa «ometteva di adottare trattamenti farmacologici idonei a migliorare la situazione dell’ossigeno e la frequenza cardiaca», si legge nel capo di imputazione. Il marito della vittima ha raccontato anche che gli avevano detto che il trasporto in ospedale si sarebbe potuto evitare in quanto la situazione era sotto controllo, ma avevano chiamato comunque il San Giovanni «per maggiore prudenza e per sapere cosa fosse accaduto».
Anche dall’anestesista aveva ricevuto rassicurazioni. Ma quando aveva visto la moglie, prima che fosse portata via in ambulanza, si era accorto che qualcosa non andava: «Constatavo, contrariamente a quanto dettomi, che mia moglie non rispondeva a nessuna sollecitazione, né vocale né fisica. La toccavo e le parlavo senza ricevere alcuna risposta». Una volta arrivato al San Giovanni, il medico del pronto soccorso gli riferiva che «la situazione era gravissima» e la moglie «era a rischio di morte immediata», essendo arrivata in ospedale «in coma, senza alcuna attività neurologica». La donna è poi morta sei giorni dopo, il 10 febbraio 2020.