In Italia ieri ha preso ufficialmente il via la “fase 2” con il graduale allentamento del lockdown dovuto all’epidemia di coronavirus. Corrado Passera, fondatore e Ceo di Illimity Bank, con all’attivo anche un’esperienza da ministro dello Sviluppo economico, all’inizio di aprile aveva promosso un piano d’azione e misure pratiche per gestire la crisi, basato su quelle che lui stesso ha definito “quattro ruote: il controllo del contagio, le strutture sanitarie e assistenziali, la finanza d’emergenza per famiglie e imprese, il rilancio economico”.
Dottor Passera, la sua iniziativa ha dato vita a reopenitaly.it. A distanza di un mese come vede la situazione di un Paese che, con l’avvio della fase 2, inizia a “riaprire”?
In questo mese si è fatta parecchia strada e il solo fatto che si parli di riapertura è un segnale molto positivo. Le “quattro ruote” della macchina-Italia però non sono ancora a posto. Gli strumenti e i dati per comprendere e tenere sotto controllo il contagio non sono a punto. Le strutture sanitarie e i meccanismi assistenziali per chi deve rimanere a casa non sono ancora stati sufficientemente rafforzati in molte parti d’Italia. La finanza di emergenza arriva ancora troppo lentamente a imprese e famiglie in difficoltà. Il rilancio economico – la quarta ruota – ha bisogno non solo di riaperture in sicurezza, ma anche di nuovi super incentivi per le imprese che possono contribuire al rilancio; servono coraggiosi piani di settore focalizzati sui settori più colpiti e per quelli più trainanti; servono tanti, tanti investimenti pubblici in infrastrutture fisiche e digitali, ricerca e innovazione e istruzione e formazione. Ovviamente il ruolo che può giocare l’Europa a sostegno di un programma di questa portata è fondamentale.
È giusto secondo lei che ci siano attività che devono aspettare fino a giugno per ripartire? Andrebbero nel frattempo sostenute in modo più specifico?
Non parlerei tanto di specifiche attività, quanto piuttosto di zone geografiche più o meno pronte a gestire la riapertura e i relativi inevitabili rischi. Molte zone d’Italia sono pronte ad aprire su larga scala, ma sarei più cauto in altre zone dove il contagio non è ancora sotto controllo o dove le strutture sanitarie non potrebbero sopportare una nuova ondata di infezioni. Nel corso del mese di maggio gran parte delle attività produttive che si erano fermate potrebbero tornare a operare. La scuola, credo giustamente, non riaprirà per l’ultimo mese dell’anno scolastico e bisognerà programmare con grande attenzione la riapertura di settembre: nessun grande Paese ha ancora messo a punto la formula definitiva. Alcune attività di servizio e di intrattenimento, purtroppo, dovranno subire un lockdown ancora più prolungato. La finanza di emergenza, sotto forma di sussidio o di prestito, va modulata di conseguenza. Le procedure andrebbero comunque sveltite e l’autocertificazione dovrebbe diventare la regola in molte fattispecie.
La scorsa settimana l’Istat ci ha fornito i dati sul Pil e la disoccupazione che arrivano a fine marzo. Davanti a questi numeri, destinati inevitabilmente a peggiorare, come giudica le risorse e i provvedimenti messi in campo dal Governo per fronteggiare la crisi economica, stante il fatto che ancora non è stato approvato l’annunciato “decreto aprile”?
Temo che le misure messe in campo non saranno sufficienti né in quantità, né in qualità. Per ripartire servono investimenti massivi, pubblici e privati, di un ordine di grandezza maggiore rispetto a quanto per ora previsto. Vanno scatenate le energie imprenditoriali con incentivi fiscali di portata mai vista per le imprese che investono, che assumono, che ricapitalizzano, che si aggregano, che riportano attività in Italia, che vengono a investire in Italia. Deve essere l’occasione per accelerare tutti i processi decisionali amministrativi: non serve prendersela con i burocrati se non si correggono le norme e i sistemi di governance. Deve essere l’occasione per velocizzare le procedure giudiziarie in termini di procedure, tecnologie, risorse. Va ripensata la scuola che è rimasta al XIX secolo e garantita formazione continua nel corso della vita. Va ripensato il welfare per affrontare l’invecchiamento, il nuovo mondo del lavoro, le nuove povertà. Tutte cose alla nostra portata, ma che necessitano competenza, determinazione e coraggio.
Prima ha accennato al ruolo cruciale dell’Europa. Come giudica l’atteggiamento e le decisioni delle istituzioni comunitarie di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane?
L’Europa deve decidere se esistere o lasciarsi logorare, se essere vaso di coccio o grande potenza. Non usciremo dall’angolo senza un programma concentrato di investimenti “federali” di 4-5 trilioni di euro in infrastrutture, innovazione e istruzione. Investimenti federali significa selezionati, gestiti e finanziati a livello comunitario. Niente a che vedere con la solidarietà – che pure deve dimostrarsi tra partner – e niente a che vedere con la mutualizzazione di debiti pubblici passati, che non deve nemmeno essere ipotizzata. Qui parliamo di costruire il nostro futuro, di assicurare nuovi investimenti che altrimenti avverrebbero solo in piccola parte e solo in certi paesi aumentando ulteriormente l’asimmetria già esistente. Ma le dirò di più: oggi dobbiamo preoccuparci di difendere il nostro benessere e la nostra sovranità di europei perché entrambi questi valori – che diamo per scontati – sono a rischio e nel nuovo scenario geopolitico nessun singolo Paese europeo può cavarsela da solo. La storia del Novecento ci dice cosa succede quando non si sanno affrontare crisi gravi e prolungate.
Cosa pensa della possibilità che l’Italia ricorra al Mes? Ancora oggi la Commissione non ha chiarito se ci sarà un monitoraggio e una sorveglianza da parte della Commissione stessa e della Bce sui Paesi che utilizzeranno il “Mes sanitario”…
Nel “capitolo solidarietà” ci metterei sicuramente il Mes, che dovrà avere come unica condizionalità la destinazione sanitaria dei fondi.
Non è meglio per l’Italia percorrere altre strade per trovare risorse come quella di un “prestito nazionale”?
Devo dirle che al “prestito nazionale” per le famiglie non credo molto. Capisco lo spirito di alcuni dei proponenti, ma mi infastidisce la retorica di molti altri. Dobbiamo purtroppo ricordarci che oggi solo circa il 4% del debito pubblico italiano è detenuto direttamente dalle famiglie. Temo che si dovrebbero immaginare condizioni molto particolari e onerose per far confluire cifre rilevanti su un’emissione del genere. Farei comunque attenzione a non “turbare” un mercato delicato come quello dei nostri titoli pubblici in una fase impegnativa come quella che si prospetta nei prossimi mesi.
Si sta parlando molto del decreto liquidità e dell’efficacia di questo intervento per aiutare le imprese, considerate anche alcune criticità e farraginosità emerse. Lei cosa ne pensa?
Le risorse potenzialmente messe a disposizione sono considerevoli anche se impallidiscono rispetto a quelle messe in campo da altri Paesi europei. Le procedure sono spesso però troppo farraginose e rischiano di vanificare l’intero programma. La finanza di emergenza dovrebbe essere basata su modalità sostanzialmente di autocertificazione con garanzia pubblica totale o quasi. Spero vengano comunque elevati gli importi massimi concedibili e allungati i tempi di rimborso. Non vanno assolutamente escluse dalle provvidenze le imprese in ristrutturazione e le start-up. Gli interventi più significativi vanno poi legati a piani di settore ben studiati: alcuni settori più colpiti – come il turismo o l’intrattenimento – avranno bisogno addirittura di contributi per sopravvivere; altri settori che possono invece trainare la ripresa – come i grandi lavori – hanno, invece, bisogno soprattutto di veder accelerate le procedure autorizzative. In molti settori va infuso nuovo capitale e, tra i modi possibili, si potrebbe immaginare di far arrivare risorse pubbliche attraverso un grande fondo di fondi di private equity.
Conte ha chiesto un “atto d’amore” alle banche perché aiutino le imprese. Le banche non stanno facendo abbastanza?
Non posso certo rispondere a nome di tutte le banche. Illimity e molte altre banche che conosco ce la stanno mettendo tutta, prima di tutto perché è loro dovere farlo. Alcuni meccanismi come il Fondo Centrale di Garanzia funzionano bene. Altre procedure, come dicevamo, non sono state pensate tenendo sufficientemente conto dell’attuale emergenza. Se si chiedono alle banche istruttorie creditizie paventando addirittura rischi penali e amministrativi è responsabilità delle banche condurre istruttorie rigorose.
Cosa sta facendo Illimity Bank per sostenere le imprese e le famiglie in questo difficile frangente?
Illimity fa direttamente credito solo alle imprese e in particolare alle imprese che hanno impegnativi piani di sviluppo o hanno in corso programmi di risanamento. Siamo in contatto continuo con tutte le imprese che serviamo per gestire al meglio e insieme questa fase critica. Si tratta di fare arrivare tutte le provvidenze previste e di elaborare insieme piani di ulteriore rafforzamento. Non abbiamo interrotto nemmeno per un giorno l’attività creditizia e vediamo crescere la richiesta di nostri interventi.
C’è chi propone interventi a fondo perduto per aiutare le imprese, in particolare quelle che non potranno riaprire subito. Lei è favorevole?
Nell’immediato va evitato che le imprese chiudano per mancanza di risorse finanziarie e che cancellino posti di lavoro: per questo la cassa integrazione deve essere del tutto “automatica”. Taluni settori particolarmente colpiti e con scarse prospettive di riapertura a breve avranno bisogno anche di contributi a fondo perduto. In generale, dovunque possibile, sono più favorevole a politiche orizzontali di incentivazione fiscale anche molto forti per le imprese che investono, assumono, si ricapitalizzano e si aggregano.
Il sistema bancario italiano, che lei conosce molto bene, rischia ancora di finire in difficoltà (mole di Npl, ripetuti aumenti di capitale quando non vera e propria crisi) dato il previsto andamento economico? Saranno ancora più necessarie operazioni di aggregazione e fusione?
L’attuale crisi accelera il ripensamento profondo dei modelli organizzativi e il ridisegno del settore che è in corso. Quattro potenti forze sono all’opera: le tecnologie digitali, i nuovi entranti, le nuove regole e le politiche monetarie. Ci sarebbe certamente ancora spazio per alcune operazioni di aggregazione, talune potenzialmente di grande interesse, anche se possiamo dire che gran parte di ciò che si poteva fare è stato fatto.
(Lorenzo Torrisi)