FINANZA/ La crisi “nascosta” che le Banche centrali possono far esplodere

- Giovanni Passali

Le banche centrali rischiano di essere il detonatore amplificato della crisi che loro stesse finora hanno nascosto

jerome powell federalreserve 1 lapresse 2018 640x300 Jerome Powell, presidente della Fed (Lapresse)

Inizia a venir fuori con maggiore chiarezza quello che è successo a metà settembre sul mercato bancario overnight americano, quando la Fed procedette a pesanti iniezioni di liquidità per calmierare interessi bancari balzati improvvisamente e sorprendentemente al 10%. In mancanza di spiegazioni (se non quelle vaghe date dalla Fed), le ipotesi in circolazione facevano presagire gli scenari più cupi, anche perché quelle iniezioni di liquidità venivano ripetute nei giorni (nelle notti) successivi, segno che il problema non appariva momentaneo ma strutturale.

C’era forse una banca in difficoltà? E quale banca poteva essere? Mentre queste domande si accavallavano senza risposta, la memoria riportava alla mente il fatto che operazioni simili si erano viste nei momenti peggiori della crisi del 2008, quella che per poco non faceva saltare per aria l’intero sistema finanziario globale, quando con il fallimento della Lehman Brothers il mondo intero si accorse che nessun istituto finanziario poteva dirsi sicuro.

Un noto detto afferma che “prima o poi la verità viene a galla”: io sono un fermo sostenitore di questo detto, anche se ancora oggi non abbiamo la “verità” su quanto successo nel mercato interbancario a settembre scorso. Però sappiamo qualcosa di più, qualcosa di interessante, grazie a un report della Bis (Bank of International Settlement), che bisogna considerare come “la banca centrale delle banche centrali”, poiché è l’organismo che a livello internazionale detta le norme per le banche centrali e per tutto il sistema bancario. Da questo organismo sono nate, per esempio, le norme chiamate “Basilea” e “Basilea II”; hanno preso questo nome dalla città di Basilea, in Svizzera, dove ha sede la Bis. Essa è costituita da 60 banche centrali, che coprono circa il 90% del mondo. Dal Sudafrica alla Norvegia, dal Messico al Giappone, c’è tutto il mondo bancario che conta al mondo.

Nata nel 1930, è la più antica istituzione finanziaria al mondo. Le istituzioni fondatrici sono state Belgio, Francia, Germania, Italia, Giappone e Svizzera. Iniziò con un compito piuttosto spiacevole, poiché dovette gestire i pagamenti per i danni di guerra tedeschi seguenti alla Prima guerra mondiale. Successivamente i suoi compiti furono allargati e a essa nel tempo aderirono tutte le maggiori banche centrali

Come si può intuire, era ben difficile che questa istituzione non riportasse qualcosa di quanto è successo. Ma ha fatto molto di più, dedicando all’argomento l’intero suo “BIS Quarterly Review”, pubblicato lo scorso 8 dicembre, dal titolo esplicito “September stress in dollar repo markets: passing or structural?”. Già nel titolo viene messo a fuoco la domanda capitale: si tratta di una situazione temporanea oppure di un fenomeno strutturale?. Anticipo subito quello che ho capito: per ora la situazione non è chiara, ma il forte sospetto è che il malanno che si vuole curare sia strutturale.

Il report ripercorre la situazione ordinaria per cui esiste il mercato dei cosiddetti repo: si tratta di transazioni a breve termine (normalmente overnight) di prestiti “collateralizzati” (cioè a fronte di un collaterale) con le quali un richiedente un prestito offre un contratto di riacquisto di un collaterale (tipicamente un titolo di Stato) allo stesso prezzo, più gli interessi. Tali prestiti sono “alti” per il settore di riferimento (i titoli di Stato, per esempio), ma dal costo finale contenuto, proprio perché a breve termine.

Questo è uno dei bizzarri effetti, dovuti al fatto che da decenni tutti gli Stati hanno iniziato a emettere sempre più titoli a lunga scadenza e non a breve (Italia inclusa, dagli anni ’80, cioè dal divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia) per attrarre investitori istituzionali e grandi fondi speculativi. In questo modo, la gran parte di titoli posseduti da piccoli risparmiatori sono passati ai grandi investitori e i piccoli risparmiatori hanno iniziato a lasciare i soldi cash sui propri conti correnti. L’effetto è che praticamente i titoli a breve termine sono ormai troppo pochi e non ve ne sono abbastanza per i grandi investitori. Quindi la soluzione bizzarra trovata, per fare un investimento a breve termine, è quella di accettare come garanzia un titolo di Stato a lungo termine e quindi prestare denaro a un interesse tipico del prestito a breve termine, che non è per nulla correlato all’interesse del titolo di Stato.

Ovviamente in tale strano mercato se le richieste sono molte e superano di molto le offerte, gli interessi salgono. Infatti, c’è una sola cosa che una banca o un’istituzione finanziaria non può permettersi: rimanere senza liquidità, perché allora si diffonde il panico, che ha pure il terribile difetto di essere contagioso.

Dal medesimo report della Bis viene ricordato che al mercato interbancario ormai accedono non solo banche, ma anche compagnie di assicurazione, asset manager, fondi e “altri investitori istituzionali”. In questo modo – sempre secondo la Bis – ogni mercato aiuta gli altri a gestire la propria necessità di liquidità. Per comprendere la vastità di questo mercato, basti dire che ogni giorni vi transitano circa mille miliardi di dollari. Proprio tutto questo rende assolutamente eccezionale una mancanza di liquidità su questo mercato di prestiti a breve termine. Per esempio, questo mercato è entrato in crisi nel 2008, all’apice della crisi bancaria, quando nessuna banca si fidava più di ogni altra banca e dovette intervenire direttamente la Fed per fornire liquidità e non far collassare l’intero sistema bancario e finanziario. Quindi il blocco di questo mercato è un segnale catastrofico, come catastrofico è stato il periodo che poi ha portato al fallimento della Lehman Brothers.

Il fatto è, come chiarisce il rapporto, che questo stesso mercato si è evoluto nel tempo e di fatto la liquidità ormai viene offerta in gran parte da soli quattro istituti bancari americani. Quindi questi quattro stanno facendo le veci della banca centrale, prestando liquidità a tutti gli altri in caso di necessità. E se questi quattro non prestano, tutti si allarmano e chi presta inizia a chiedere tassi sempre più alti, immaginando un rischio elevato, anche se non visto.

Sempre secondo il report della Bis, i tassi di tali prestiti fluttuano di 10 punti base (pari a 0,1%) o al massimo 20. Invece il 17 settembre scorso le variazioni arrivarono a 700 punti base (7%), segnale evidente di un nervosismo fuori scala. Il nervosismo, questo è il punto, è stato scatenato da un hedge fund che ha fatto una richiesta molto alta di prestito a breve termine. Non trovando un prestito presso le quattro grandi banche (la cui identità non è stata resa nota), i prezzi degli interessi sono schizzati alle stelle.

Questo è uno dei tanti effetti di una crisi mai risolta. Il continuo interventismo delle banche centrali ha gonfiato i loro bilanci e ha offerto liquidità a una moltitudine di soggetti. La soluzione di far intervenire le banche centrali nel mercato interbancario ha offerto una via d’uscita temporanea a un problema gravissimo, nel 2008. Ma non è stata trovata una soluzione e quindi quel mercato si è polarizzato (i grandi gruppi, in un mercato senza regole, prima o poi diventano sempre padroni invadenti di quel mercato) e quindi se loro smettono di intervenire, quel mercato improvvisamente sparisce.

L’intervento della Fed non può essere senza conseguenze, soprattutto dopo l’annuncio che proseguirà acquisti nel mercato interbancario al ritmo di 60 miliardi al mese. Infatti, se in circolazione vi fossero mille miliardi di titoli e (per quel mercato) mille miliardi di dollari e a un certo punto un titolo venisse venduto per un dollaro, allora questo corrisponderebbe in qualche modo alle aspettative di quel mercato. Ma se invece la quantità di denaro di quel mercato fosse infinita (come il denaro che può creare una banca centrale dal nulla), quale sarebbe il valore corrispondente di un titolo? Tendente all’infinito? Ma sarebbe quello il valore reale del titolo oppure sarebbe il denaro che non vale più niente? L’iperinflazione è solo uno spettro lontano?

Nessuno sembra essersi reso conto di un fatto molto semplice: con l’enorme produzione di liquidità (praticata anche dalla Bce) le banche centrali hanno tenuto sotto controllo i mercati finanziari, ma hanno perso completamente il controllo dell’economia reale poiché quando la banca centrale immette liquidità, con la stessa azione nel perde il controllo. Il disastro potrebbe essere dietro l’angolo (grandi fondi speculativi che iniziano a comprare beni reali perché non si fidano più di prodotti finanziari?) e le banche centrali hanno già iniziato a segare il ramo su cui loro stesse si sono sedute. Possono immettere liquidità o possono azzerare le immissioni di liquidità, ma non possono togliere la liquidità già immessa, non hanno alcuno strumento per tale tipo di operazione.

Le banche centrali rischiano di essere il detonatore amplificato della crisi che loro stesse finora hanno nascosto, nascondendo il problema della moneta debito.





© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultime notizie di Economia e Finanza

Ultime notizie