Sul fine vita la maggioranza presenta sette emendamenti: nessuna concessione sul dirito a morire. E la distanza con l’opposizione aumenta
Alla ripresa dei lavori parlamentari sono in molti a chiedersi a che punto stia uno dei disegni di legge più controversi degli ultimi anni. E non potrebbe essere diversamente dal momento che in gioco c’è la vita di ognuno di noi, stretta in una morsa in cui da un lato si confrontano le persone più fragili, gravemente ammalate, non autosufficienti a tal punto da non essere in grado di suicidarsi da sé.
Ma dall’altro lato il confronto, addirittura lo scontro, è aperto con chi – a prescindere dal dolore e dalla sofferenza – vuole ribadire il diritto a riaffermare la propria volontà senza accettare condizionamenti da parte di nessuno. Secondo la dinamica del vecchio slogan: la vita è mia e ne dispongo come mi pare e piace.
Difficile fare una legge mediando tra posizioni così distanti, in cui c’è chi considera la relazione di cura una sorta di imperativo categorico e chi invece rifiuta ogni forma di cura, convinto di poter fare da sé, di voler fare da sé. Ogni tentativo di migliorare la relazione di cura a livello personale, familiare e perfino istituzionale, come accade con il Servizio sanitario nazionale, è vissuto come un abuso di potere; una incursione in quell’area sacra della propria intimità, in cui nessun altro è ammesso se non il singolo protagonista.
La morte per i primi chiede condivisione nel dolore e nella sofferenza, reclama accompagnamento, e offre attraverso le cure palliative una profonda e concreta empatia sul piano umano; per gli altri la morte richiede una lotta continua, che si placa solo mettendo la parola fine alla propria vita. Il paradosso è che i primi vogliono continuare a vivere fino alla fine nel miglior modo possibile, per questo chiedono cure per sé e per i propri cari, mentre i secondi vogliono morire, sconfiggendo non solo la vita, ma anche coloro che si oppongono alla morte.
Cosa è accaduto in Parlamento
Dopo la presentazione del disegno di legge della maggioranza a firma Zullo-Zanettin, alternativo, come è noto, al ddl Bazoli sottoscritto dall’opposizione, il 25 luglio 2025 in Senato sono stati presentati 140 emendamenti, di cui 120 da parte delle opposizioni. I nodi critici sollevati da entrambi i lati del Parlamento hanno trovato la loro formulazione più stringente nei diversi emendamenti, che per lo più riguardavano l’esclusione del ricorso al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la definizione di un eventuale diritto a morire, la non punibilità per chi assiste, il diritto all’obiezione di coscienza, la composizione del Comitato Nazionale di Valutazione, il cui parere è essenziale per valutare le richieste di chi vuole porre fine alla propria vita attraverso il suicidio assistito.
Anche il ruolo delle cure palliative suscitava dubbi e perplessità per la sua condizione vincolante, necessaria per richiedere l’assistenza al suicidio, dal momento che posta in questi termini sembrava alterare la piena libertà del consenso. In altri termini, come era prevedibile, chi voleva una legge a maglie più strette e chi protestava contro la rigidità del ddl.
Con la pausa estiva il dibattito, pur essendosi fermato in parlamento, ha continuato ad impegnare l’opinione pubblica, sulla scia degli interventi della stampa, pressoché quotidiani, con interviste ad esponenti di riferimento, politici e non politici, di diversa posizione etico-culturale. I pro e contro la legge si sono andati moltiplicando, creando ansia e confusione in entrambi gli schieramenti, per cui ai relatori di maggioranza si è presentato uno scenario difficilissimo su cui muoversi.
La sfida rimane quella di convincere l’opinione pubblica che il senso di questa legge è la piena tutela della vita e della libertà, cercando di far comprendere a tutti la bellezza di chi, in piena libertà, sceglie di vivere fino alla fine la sua vita e chiede tutto l’aiuto necessario, come diritto inoppugnabile. Un percorso tutt’altro che facile e scontato. Di qui la necessità di presentare alcuni emendamenti, che chiarissero gli obiettivi e li rafforzassero valorizzando il valore della vita. Rassicurando a destra chi teme che la legge apra all’eutanasia, e aprendo un dialogo positivo a sinistra, per superare certe chiusure ideologiche che rappresentano uno scivolo ad alto rischio.
I sette emendamenti di maggioranza
Giovedì 11 settembre sono stati presentati in Senato sette emendamenti a cura dei relatori con la completa riscrittura dell’articolo, che affidava a un Comitato di valutazione nazionale composto da 7 membri di nomina governativa (con Dpcm) la valutazione delle richieste.
L’articolo era stato fortemente criticato dalle opposizioni. Nella nuova proposta questo ruolo toccherà al Centro di coordinamento nazionale, con il coinvolgimento dei Comitati etici territoriali, istituiti dalla legge n. 3 del 2018.
La novità sostanziale sta nell’aver abbandonato l’idea di un Comitato nazionale di nomina governativa, sostituendolo con i Comitati regionali a cui si aggiunge un Centro di coordinamento nazionale formato da Esperti, medici e giuristi, a cui spetterà, di fatto, la decisione sull’accoglimento o meno della richiesta di accesso al trattamento di fine vita.
Per i due relatori di maggioranza: Zullo e Zanettin si tratterebbe di una apertura alle critiche fatte dall’opposizione, che fin dall’inizio aveva contestato il progetto del Comitato nazionale di valutazione considerato espressione “politica” su un tema che non è né di destra né di sinistra. Ma l’opposizione non sembra aver gradito particolarmente questa iniziativa.

Poiché l’introduzione del Centro di coordinamento al posto del Comitato nazionale di valutazione comporta, di fatto, un doppio vaglio, a livello territoriale e nazionale, i tempi per prendere una decisione si allungano. Questo ha reso opportuno inserire un altro emendamento che riguarda i tempi previsti per ottenere il parere da parte del nuovo Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici, che di fatto si allungano di un mese, 150 giorni rispetto ai 120 indicati nella precedente proposta della maggioranza. Il comitato etico territoriale, infatti, dà un parere non vincolante entro 60 giorni dalla richiesta dell’interessato, il Centro di coordinamento nazionale avrà altri 60 giorni per il suo parere obbligatorio e ulteriori 30 giorni per “motivate e comprovate esigenze”.
Particolarmente importante è la sottolineatura che i relatori hanno voluto aggiungere in fondo al comma 1 dell’articolo 1 del ddl, ribadendo il no all’eutanasia. “In nessun caso la legge riconosce alla persona il diritto a ottenere aiuto a morire”. Una precisazione netta che si discosta dalla versione precedente, in cui si affermava che il diritto alla vita è diritto fondamentale della persona in quanto presupposto di tutti i diritti riconosciuti dall’ordinamento.
La nuova formulazione, con un impianto più restrittivo, lascia poco margine a interpretazioni che mettano in dubbio il senso di questa legge, che si conferma come una legge che vuole prendersi cura della vita fino al suo termine naturale, senza assolutamente accelerare i tempi della morte. È evidente come, anche attraverso questo emendamento, si voglia evitare che la legge crei un pericoloso piano inclinato in cui l’eutanasia possa inserirsi come il vero risultato di una proposta di legge che, volendo evitare quanto accade in altri Paesi in cui la norma esiste da anni, ne faciliti invece la drammatica approvazione.
Tra i sette nuovi emendamenti dei relatori c’è anche la conferma della esclusione assoluta del SSN, che prevede che “il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il servizio sanitario nazionale, non possono essere impiegati per agevolare l’esecuzione del proposito suicidario”. In sostanza, chi sceglie di ricorrere al suicidio assistito dovrà farlo a sue spese.
Il ruolo del SSN è stato fin dal primo momento al centro di un braccio di ferro maggioranza-opposizione, perché mentre la maggioranza vuole escludere in radice il rischio che la nuova legge possa avallare una sorta di suicidio di Stato, l’opposizione dal canto suo teme che si possa andare incontro ad una “privatizzazione” della morte, che non solo potrebbe creare difformità sul territorio nazionale, ma potrebbe finire col dar luogo a vere e proprie strutture di morte. Ossia luoghi in cui ci si reca solo per morire. D’altra parte, è legittimo e necessario che le risorse del SSN vengano spese per curare i pazienti e non per accelerarne la morte.
Altro emendamento inserito dai relatori, necessario per non essere puniti per aver eseguito il trattamento di fine vita, è l’aggiunta dell’aggettivo “incoercibili” alle “sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili”, causate da una “patologia irreversibile”, che costringono la persona “inserita nel percorso di cure palliative, tenuta in vita da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali” a farne richiesta “in modo libero, autonomo e consapevole”. Si tratta di un’accentuazione di quanto previsto dai criteri elencati dalle sentenze della Corte costituzionale, che vengono recepiti ma al tempo stesso rendono più difficile l’accesso al suicidio assistito.
Subemendamenti fino al 23/9
Adesso ci sarà tempo fino al 23 settembre per presentare i subemendamenti alle sette proposte di modifica del ddl. Ma nel frattempo tra maggioranza e opposizione il divario sembra allargarsi. La maggioranza pur volendo dialogare con l’opposizione ha necessariamente dovuto e voluto tenere conto del proprio elettorato, di quella vasta sensibilità popolare strutturalmente contraria a ogni forma di eutanasia.
Una maggioranza che ha sempre temuto, fin dall’inizio, che la legge, questa legge, possa diventare una sorta di grimaldello per far penetrare anche in Italia una eccessiva facilitazione del suicidio assistito. Proprio ciò che sta accadendo in altri Paesi, in cui i numeri rivelano una realtà drammatica che colpisce persone sempre più fragili, dalle persone depresse a quelle con gravi disturbi cognitivi, dai più poveri a quanti sono soli e abbandonati.
Lo sforzo della maggioranza, e in particolare dei due relatori, in questo momento, è quello di fare una buona legge, fedeli al principio che piuttosto che una cattiva legge è meglio nessuna legge. I sette emendamenti sembrano andare in questa direzione, anche se l’opposizione non sembra accorgersene. Su di una legge così il consenso va cercato e va creato, ma sulla base di valori solidi e forti, condivisi sulla base di una tradizione come quella italiana, ma con uno sguardo lucido sull’esperienza europea e su ciò che sta accadendo in Olanda, Belgio, Canada, dovunque la legge sia stata approvata.
La conclusione del dibattito e l’approvazione della legge sembra comunque ancora distante, anche se i relatori sembrano determinati ad andare avanti, sperando di raggiungere il famoso obiettivo della buona legge, auspicata da tutti.
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