Francesca Brandoli morta suicida nel carcere di Bollate (MI), scontava l'ergastolo per l'omocidio del marito, poi sposo l'uxoricida Luca Zambelli

Francesca Brandoli si è suicidata nel carcere di Bollate di Milano, dove stava scontando la condanna all’ergastolo per aver ucciso l’ex marito nel 2006 e dove aveva sposato Luca Zambelli, anche lui condannato per lo stesso crimine, per poi divorziare, mettendo fine alla sua vita nel più estremo dei silenzi: quello irreversibile, che non lascia spazio ad appelli, speranze o redenzione.



Un nome tra i tanti di un sistema che inghiotte, ma che troppo spesso non restituisce, neanche sotto forma di espiazione o pentimento per un delitto che racconta di passione e rancore, di ossessione e perdita di controllo, con il gesto della donna che, nella sua tragicità, rievoca antichi archetipi della letteratura e della storia: l’amore che si trasforma in odio, la vicinanza che si fa intollerabile prigionia, il giuramento eterno che si sgretola in una vendetta feroce, dalla Medea di Euripide fino ai tanti episodi di cronaca che riempiono le pagine nere dei quotidiani.



Nel 2011 Brandoli si era risposata dietro le sbarre con un altro detenuto, Luca Zambelli, anch’egli condannato per un crimine speculare: l’omicidio della moglie; un’unione nata nell’ombra, nel dolore comune, forse un tentativo di riconciliare il proprio passato con un presente che offriva ben poche alternative, ma, come spesso accade nelle relazioni forgiate nella disperazione, anche quel legame si era infranto, con un divorzio consumatosi cinque anni dopo.

Francesca Brandoli: condannata all’ergastolo giuridico ed esistenziale

“L’ho incontrata 15 giorni fa, aveva qualche problema di salute, ma nulla lasciava presagire un gesto simile”, ha dichiarato sconvolto Francesco Maisto, Garante milanese dei diritti dei detenuti: un’affermazione che fa riflettere sulla capacità del sistema carcerario di cogliere i segnali del disagio profondo, della sofferenza psicologica che logora chi è costretto a vivere anni, decenni, una vita intera in un non luogo dove il tempo non scorre e l’identità si dissolve.



La storia di Francesca Brandoli si inscrive in una lunga tradizione di cronache giudiziarie che vedono il crimine passionale come il punto di non ritorno di relazioni impossibili, di tensioni insanabili, di equilibri infranti: la tragedia del coniuge che uccide il proprio partner non è solo un evento di cronaca nera, ma un fenomeno culturale antico e radicato, che attraversa la storia e la letteratura come un incubo ricorrente.

Ma cosa accade dopo il delitto, quando il sipario si chiude sulla rabbia, sulla follia di un attimo, sull’impulsività della violenza? Accade che l’autore di questo crimine così terribile, atroce e controverso, in molti casi si trovi a fare i conti con un altro tipo di ergastolo: non solo quello giuridico, ma quello esistenziale, quello interiore, che annienta ben prima della fine della pena.