La caduta del governo in Francia è l'ennesimo tassello di una crisi ormai strutturale: tra debito, migranti e produttività, cosa succede a Parigi
Da diversi mesi a questa parte la Francia e la sua conflittuale politica campeggiano quasi quotidianamente sulle pagine dei nostri giornali, tra un presidente – ovviamente Emmanuel Macron – che sembra essere ai minimi storici dal punto di vista del consenso e un premier – in questo caso François Bayrou – che non ha mai veramente convinto nessuno: una situazione che alla fine è (prevedibilmente?) esplosa quando il Primo ministro si è immolato presentando una mozione di fiducia che ha fatto immediatamente crollare il suo governo.
Proprio in queste ore, non a caso, lo stesso Bayrou si è recato all’Eliseo dove ha formalmente presentato le sue dimissioni e per la Francia si è aperta una nuova crisi politica che sembra destinata a essere ancora più profonda e dura di quella che ha postato lo scorso dicembre alla sua elezione: attualmente, infatti, il Parlamento è profondamente diviso al suo interno e la possibilità di trovare una maggioranza solida attorno a un candidato sembra essere del tutto improbabile, per non dire impossibile.
Dal conto suo il presidente della Francia – profondamente ancorato alla sua poltrona, nonostante le richieste di dimissioni presentate già lo scorso dicembre dalle opposizioni – ha già precisato che nelle prossime ore annuncerà il nome del successore di Bayrou che potrebbe essere l’attuale titolare della Difesa Sébastien Lecornu; mentre le principali voci di dissenso – ovvero Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon – chiedono a gran voce nuove elezioni e dimissioni immediate per Macron.
Cosa succede in Francia: i conflitti politici, quelli sociali e il declino di un (ex) fiore all’occhiello d’Europa
Al di là della – certamente non trascurabile – crisi politica che la Francia sta vivendo, interessante è anche soffermarci su quello che sta succedendo nel paese reale, quello costretto a lavorare per stipendi sempre più bassi, lontano dagli alti palazzi e dai giochi di potere: il primo tassello della crisi, d’altronde, è lo stesso che ha portato alla sfiducia per Bayrou, ovvero quell’aumento – ormai esponenziale – del debito pubblico francese, iniziato ormai 51 anni fa e che ha portato il deficit alla soglia dei 3.345 miliardi di euro, addirittura più alto di quello – altrettanto critico – italiano.
Un deficit che finisce per pesare sulle tasche dei lavoratori e dei cittadini della Francia e che si riflette bene nel netto calo della produttività, con il PIL prodotto per ora lavorativa oggi pari a -0,5% e in fortissimo calo dal 2015 a questa parte, oltre che ben al di sotto della media europea (+0,9%) e OECD (+1,3%); mentre non mancano in Francia neppure profonde crisi legate al crollo della natalità (un tempo fiore dell’occhiello di Parigi ma oggi ai minimi storici, con soli 663mila nati nel 2024) e all’aumento dei migranti che alimenta le tensioni sociali in una situazione destinata a esplodere e per la quale – per ora – nessuno, da Le Pen a Macon, sembra avere reali soluzioni.