In Francia i socialisti si preparano al voto. Hanno anche elaborato una proposta di legge di bilancio da 22 miliardi. Che ignora i paletti Ue
Il partito socialista francese ha presentato uno schema di contro-manovra finanziaria in vista del voto di fiducia al governo Bayrou. Nei fatti anche i socialisti paiono preannunciare il loro no all’austerity prospettata dal premier e cominciano a scoprire le carte di un vero e proprio programma elettorale. Perché loro per primi – già vincitori del voto 2024 assieme a La France Insoumise e ad altre formazioni rossoverdi, ma infine relegati all’opposizione dalle manovre del presidente Macron – guardano a nuove elezioni anticipate, anzi: mostrano di desiderarle.
Nel merito, il loro contro-budget ha tutte le stigmate dell’ortodossia gauchiste d’Oltralpe, quella che già negli ultimi giorni ha spinto Le Monde a negare come fake strumentale di destra l’allarme del centrista Bayrou sul “sovraindebitamento” pubblico francese.
Di qui una prima zampata da parte di Olivier Faure, leader del Ps. La manovra 2026 da 44 miliardi di euro delineata dal premier non sarebbe affatto obbligatoria e sarebbe invece pericolosamente recessiva, proprio come quella ipotizzata dal predecessore gollista a Matignon, l’ex commissario Ue Michel Barnier, subito rispedito a casa perché l’avrebbe voluta di 65 miliardi già per il 2025.
Come a Barnier, anche a Bayrou è rinfacciato di voler frenare la ripresa (anche sulle rotte della transizione verde) e di voler aggravare il disagio sociale e le diseguaglianze. Di voler sfidare le piazze della sinistra sindacale, che a Parigi si riempiranno nuovamente il 10 settembre, due giorni dopo la sempre più probabile caduta del governo.
Per i socialisti, in concreto, nel bilancio 2026 sarebbe sufficiente una correzione dimezzata, a quota 21,7 miliardi. Che nei fatti continuerebbe a lasciare nel congelatore del governo la cruciale riforma delle pensioni, peraltro già costata l’incarico a cinque premier designati da Macron. Il resto della manovra verrebbe finanziato da una sovra-tassazione di alti redditi e grandi patrimoni e da non meglio precisati efficientamenti nella pubblica amministrazione.

Visto fuori dalla Francia, l’aspetto più interessante della narrazione Ps sul risanamento finanziario a Parigi è la pressoché totale assenza di attenzione per i parametri di stabilità Ue. Quello dolente da anni per la Francia è il deficit/Pil, che ha ormai raggiunto la linea rossa del 6%, il doppio dello standard del 3% (cui invece si sta attenendo l’Italia, che continua dal canto suo a soffrire nel debito/Pil).
Bene, nella manovra socialista l’anno prossimo la Francia si limiterebbe a scendere a quota 5%, senza un reale affondo “taglia deficit”. E il ritorno sotto soglia 3% avverrebbe con orizzonte 2032, puntando a una larga finestra mobile che non si aprirebbe comunque prima del 2029.
Era immaginabile che il governo italiano di Silvio Berlusconi, a fine estate 2011, rispondesse a “Europa e mercati” con un piano a sette anni, facendo valere ragioni politiche interne?
Infatti – pur dotato di una solida maggioranza parlamentare, a differenza dell’amministrazione Macron-Bayrou o della stessa sinistra francese – già a novembre quel governo non c’era più. A Palazzo Chigi c’era un ex commissario europeo come Mario Monti con in mano una fitta agenda di austerity scritta dalla Bce (sotto la presidenza francese di Jean-Claude Trichet) e dalla Ue, sotto la spinta determinante del presidente francese Nicolas Sarkozy). Prima di Natale arrivò una manovra lacrime e sangue, costruita attorno a una draconiana riforma previdenziale.
Nell’autunno 2025 la Francia potrebbe tornare alle urne dopo 18 mesi in quello che in realtà sarebbe un referendum sul presidente Macron, da otto anni all’Eliseo ma sempre più incaprettato nella sua incapacità di governare l’economia e le finanze pubbliche del suo Paese. Ciò che stavolta l’Italia guidata dall’erede politica di Berlusconi sta invece riuscendo a fare.
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