Franzo Grande Stevens, morto a 96 anni: fu l’avvocato che difese i vertici della FIAT, gli interessi della famiglia Agnelli e il legale dei capi delle BR
Franzo Grande Stevens è morto venerdì 14 giugno all’età di 96 anni e con lui se ne va una delle figure più influenti – e allo stesso tempo più appartate – della storia industriale e giuridica italiana: è stato l’avvocato che ha tutelato la continuità della famiglia Agnelli a capo della FIAT, il giurista che in un momento decisivo trovò il modo di evitare la perdita del controllo del gruppo, e nel 2003 fu proprio lui a costruire l’operazione finanziaria che garantì la tenuta del potere azionario attraverso un equity swap, una manovra tecnica complessa, criticata ma determinante.
Ed è sempre a lui che si deve l’intuizione della “Dicembre”, la società semplice messa in cima alla catena di controllo dell’impero, oggi guidato da John Elkann; Franzo Grande Stevens era nato a Napoli nel 1928, si era laureato in Giurisprudenza all’Università Federico II e aveva mosso i primi passi nello studio dell’avvocato Barra Caracciolo.
Si era poi formato a Torino, dove ha vissuto e lavorato per tutta la vita, diventando un punto di riferimento per l’intero sistema industriale piemontese: consigliere di fiducia non solo degli Agnelli ma anche dei Ferrero, dei Lavazza, dei Pininfarina, dell’Aga Khan e di Carlo De Benedetti, ha costruito in settant’anni di attività una rete di relazioni discreta ma influente.
Era iscritto all’albo dal 1954, vicepresidente di Fiat, Toro Assicurazioni, Ciga, e presidente della Juventus dal 2003 al 2006 e ancora fino a pochi giorni fa si presentava in studio, all’alba, come sempre, perché il lavoro – per lui – non era una fase della vita ma un impegno quotidiano da rispettare con dedizione.
Franzo Grande Stevens, tra diritto e istituzioni: difese i brigatisti e fu un riferimento per l’avvocatura italiana
Franzo Grande Stevens è stato molto più di un avvocato d’affari poiché ha fatto scelte che pochi avrebbero avuto il coraggio di sostenere, come quando, negli anni più bui del terrorismo, accettò l’incarico di difendere d’ufficio i capi delle Brigate Rosse nel processo che vide coinvolto anche Fulvio Croce, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, ucciso proprio per non aver rinunciato a quel mandato.
Grande Stevens non si tirò indietro, portando avanti il processo con rigore, in nome del diritto alla difesa e del rispetto della legge, anche quando significava esporsi a minacce dirette e anni dopo, avrebbe affidato il racconto di quei giorni di paura a un libro intitolato Vita d’un avvocato, la narrazione della propria testimonianza personale.
Franzo Grande Stevens ha presieduto la Compagnia di San Paolo, la Cassa nazionale forense, il Consiglio nazionale forense e in occasione dei suoi 70 anni di carriera, a Torino, fu la figlia Cristina – che oggi guida lo studio insieme all’avvocato Briamonte – a leggere il suo discorso, in cui ricordava ai colleghi più giovani che la professione si può affrontare solo con curiosità intellettuale, sacrificio, rispetto delle leggi e delle persone.
Spiegava che chi lavora utilizzando malizia e furbizia, senza impegno e responsabilità, non dovrebbe svolgere questo mestiere, e con la tipica ironia, aggiungeva che – pur non potendo più camminare bene – “non aveva mai lavorato con i piedi”; adesso, resta il segno lasciato da un personaggio che ha attraversato silenziosamente settant’anni di storia italiana, senza mai cedere alla retorica, ma con una competenza tecnica e una visione lucida che hanno inciso ben oltre i tribunali.
Per John Elkann fu “un giurista eccelso, un amico di famiglia, un grande juventino” e lo ricordano così anche molti nel mondo delle istituzioni e dell’impresa, come un uomo riservato, concreto, mai sopra le righe, ma sempre al centro delle decisioni che contano.