In Francia ha fatto scalpore un rapporto ministeriale secondo il quale i fratelli musulmani tramano per prendere il potere. Qual è la vera notizia?
Un’indagine commissionata in Francia dai ministeri dell’Interno, degli Esteri e della Difesa si è occupata della rete di influenza costituita dai Fratelli musulmani. Il titolo del rapporto conclusivo: I Fratelli Musulmani e l’islamismo politico in Francia riassume in sé il cuore del problema che è quello di ospitare e lasciare che acquisisca spazi educativi e rappresentanza politica una confraternita musulmana che, nata quasi un secolo fa in Egitto, si propone di edificare in Francia un processo di islamizzazione ovunque le condizioni lo consentano.
Ciò viene realizzato attraverso una presenza educativa, assistenziale, professionale e persino finanziaria il cui obiettivo è quello di allargare la base degli aderenti, fino al punto di trasformare la società dall’interno, mutandone i principi democratici attuali a favore di quelli presenti nella sharia ovunque ciò sia realizzabile.
Il rapporto, che presenta i numeri dei luoghi di culto affiliati, dei potenziali fedeli, delle associazioni collegate in ambito caritativo, scolastico, professionale e finanziario dà le dimensioni non irrisorie dell’infiltrazione.
I Fratelli musulmani danno infatti vita a reti di assistenza nei quartieri più poveri, che sono poi gli stessi nei quali la presenza islamica è più estesa; istituiscono scuole private confessionali nonché assicurano una presenza sui vari canali social, al fine di diffondere i principi dell’islam, così come loro lo concepiscono e lo praticano.
Viene così ad emergere, ancora una volta, il problema essenziale che è presente all’interno dell’immigrazione islamica in Europa. Un problema che si può riassumere nella incompatibilità esistente tra determinate confraternite islamiche, assolutamente attive, e i principi della società democratica.
Le ragioni ultime di questo problema non risiedono tanto nel contrasto tra singoli princìpi, quali possono essere il rispetto della donna o quello delle minoranze di genere, quanto nella sottomissione del singolo ad una legge che, almeno in linea di principio, non solo estende il suo dominio sulla totalità della persona e delle sue relazioni con il mondo, ma anche sulla potenziale abolizione di qualsiasi principio interpretativo.
Come è noto la religione islamica non implica solo credenze e pratiche, fede e rituali di preghiera, ma comporta anche un modello di vita, delle regole di comportamento e dei princìpi che fanno riferimento ad una legge che è parte integrante della religione stessa.
Nulla impedisce che tra gli appartenenti all’islam, esattamente come avviene in altre religioni, prendano forma delle posizioni intermedie e che i singoli finiscano con l’adottare pratiche di vita in accordo più con la loro interpretazione e coscienza personale, che non con l’uno o l’altro dei principi coranici e delle disposizioni che vi conseguono.
Ma è proprio una tale flessibilità che un simile islam radicale vuole evitare. Una tale autonomia del singolo incontra infatti una viva opposizione presso le fasce fondamentaliste, per le quali le interpretazioni personali e le variazioni nei comportamenti individuali sono decisamente osteggiate.
La visibilità dell’appartenenza religiosa attraverso il regime alimentare, l’abbigliamento e i comportamenti in pubblico costituisce un vero e proprio imperativo di vita, un dover essere al quale il singolo non può rifiutarsi di aderire. Il credente non è pertanto solamente colui (o colei) che non deve compiere una specifica serie di atti ritenuti sacrileghi, ma è soprattutto colui (o colei) che deve adottare comportamenti e condotte di vita, compiere obbligatoriamente gesti e atti la cui semplice omissione è già una mancanza grave in quanto tale.
La visibilità è parte integrante della dottrina e questa dottrina, per la confraternita dei Fratelli musulmani, sfocia nella costituzione di spazi come la scuola, il quartiere, il comune dove, una volta assicuratasi la maggioranza, una tale imposizione possa prodursi senza difficoltà.
Pertanto la potenziale pericolosità dei Fratelli musulmani risiede proprio nella loro volontà di voler far transitare l’appartenenza alla fede islamica dalla dimensione privata alla manifestazione pubblica, dalle credenze personali ai comportamenti espliciti, dalla fede interiore ai segni esteriori. Penetrare nella società e conquistarvi il potere politico è essenziale affinché questo imperativo di condotta possa avere forza di legge.
Sono elementi già noti e ciò che stupisce è piuttosto la capacità di non rendersene conto (in Francia o altrove). Il principio fondamentale della libertà del singolo fornisce qualcosa di più di un semplice sotterfugio per mascherare sotto il velo della libertà individuale quella che è la gabbia della dipendenza oggettiva, una gabbia dalla quale il singolo, in questo caso la donna, non può sfuggire.
La leggerezza attraverso la quale la presenza di un simile vincolo viene de-enfatizzata, ridotta ad una sorta di specificità culturale, coprendo con un assordante silenzio una realtà ampiamente visibile, costituisce un vero e proprio imperativo ideologico. Pur di non destabilizzare le proprie convinzioni sull’eccellenza di tutto ciò che si muove al di fuori del tanto detestato Occidente, convinzione che ha portato più di quarant’anni fa Michel Foucault e tanti altri a lodare la rivoluzione khomeinista, si è pronti a minimizzare e de-enfatizzare il vero e proprio cappio religioso che la sottomissione veicolata dal fondamentalismo islamista finisce con l’imporre. Un tale principio finisce per funzionare come un vero e proprio filtro percettivo che copre la realtà anziché mostrarla.
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