Dopo mesi si sconti, dibattiti, gaffe (come quanto Papa Francesco ha criticato l’eccessiva “frociaggine” nei seminari) e segnali di apertura, alla fine la CEI ha pubblicato le nuove linee guida che per la prima volta aprono il seminario sacerdotale anche ai gay: una novità – innegabilmente – importante, segnale di una Chiesa che cambia con il passare dei tempi e che supera quella non esattamente chiara indicazione contenuta nell’istruzione del 2005 che affrontava proprio le “tendenza omosessuali”; ma al contempo che per ora è stata introdotta solamente in via sperimentale per i prossimi tre anni di seminario, in attesa di capirne gli effetti e le eventuali criticità.
Facendo innanzitutto un passo indietro proprio a quel testo del 2005, nelle istruzioni della Congregazione per l’Educazione cattolica veniva precisato che al seminario non potevano in alcun caso essere ammessi “coloro che praticano l’omosessualità“, che presentano delle non meglio definite “tendenza (..) profondamente radicate” o che “sostengono la cosiddetta cultura gay”: un testo – appunto – poco chiaro e che è finito al centro di un’ampia discussione all’assemblea della CEI del 2023 durante la quale si è definito il testo delle nuove linee guida approvate definitivamente alla fine dello scorso anno.
Cosa dicono le nuove linee guida CEI sull’accesso al seminario per i gay: “Porte aperte, purché rispettino la castità”
Nel testo della ‘Ratio formationis sacerdotalis’ approvata – che trovate in versione integrale cliccando su queste parole, con il nostro punto di interesse che è il 44esimo – si torna a parlare dell’ammissione al seminario degli omosessuali, aprendo loro ufficialmente le porte del Clero purché non siano inclusi tra “coloro che praticano”: nel testo – infatti – la CEI precisa chiaramente che dal conto suo “la Chiesa [rispetta] profondamente le persone in questione”, ma non può permettersi di “ammettere (..) coloro che praticano l’omosessualità”.
Quello che a tutti gli effetti potrebbe sembrare – almeno ad occhio disattento – un attacco verso la comunità gay, assume poi un significato completamente diverso poche righe dopo dove si precisa che il requisito fondamentale è quello di “accogliere come dono, di scegliere liberamente e vivere responsabilmente la castità nel celibato“: lo stesso paletto – insomma – fissato anche per tutti gli altri candidati eterosessuali; ma che diventa più importante per gli omosessuali dato che si troveranno a vivere per almeno tre anni fianco a fianco esclusivamente con persone di sesso maschile che potrebbero mettere a dura prova il dono della castità.