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Home » Esteri » Medio Oriente » GAZA ALLO STREMO/ “Continua la strategia dell’assedio per fame, Israele spara ai panettieri”

  • Medio Oriente
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GAZA ALLO STREMO/ “Continua la strategia dell’assedio per fame, Israele spara ai panettieri”

Int. Danilo Feliciangeli
Pubblicato 24 Novembre 2024
Distribuzione di cibo a Rafah (Ansa)

Distribuzione di cibo a Rafah (Ansa)

Sempre meno viveri entrano a Gaza e al mercato nero i prezzi sono alle stelle. Israele ha dichiarato guerra anche ai panifici e ai depositi di farina

Non c’è acqua potabile, il cibo scarseggia sempre di più e gli israeliani prendono di mira i panettieri. Sì, la guerra a Gaza si combatte anche così, non solo bombardando un intero isolato residenziale vicino all’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia e uccidendo 66 civili, come è successo di recente, ma usando la fame come arma. Lo spiega Danilo Feliciangeli, responsabile di Caritas italiana per i progetti in Medio Oriente e Nord Africa, raccontando la situazione della parrocchia della chiesa della Sacra Famiglia, che ospita ancora 500 persone. È nella zona rossa, in un’area che quotidianamente ormai da tempo è interessata da bombardamenti e operazioni di terra da parte dei soldati dell’IDF. Un territorio in cui la gente è veramente allo stremo: da settimane non entrano viveri e aiuti, ci si arrangia con le riserve (anche di materiale medico) accumulate in precedenza. Ma ormai non bastano più: si lotta ogni giorno con la fame. Anche il World Food Programme ha confermato che diversi panifici sono stati colpiti e distrutti.


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Com’è la situazione della parrocchia di Gaza? Sono ancora sotto la spada di Damocle dell’evacuazione?

In realtà l’ordine di evacuazione di cui si era parlato non riguarda la parrocchia, ma edifici e case di alcune persone accolte in parrocchia, in particolare il proprietario di una panetteria. Israele ha individuato come target le panetterie e i depositi di farina, sempre nella strategia dell’assedio per fame della popolazione. L’evacuazione, quindi, è per edifici vicini, ma non per la parrocchia e il compound Caritas. In rete ci sono anche cartine con la mappa delle diverse panetterie prese di mira, tra cui quella di questo cristiano che ora è in parrocchia con la famiglia.


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Come stanno gli sfollati che si sono appoggiati alla parrocchia?

La situazione è veramente difficile, manca di tutto. A Gaza nord non entrano aiuti da parecchio tempo. Tutto questo mentre i bombardamenti e le operazioni di terra continuano. Ci sono ancora scorte di medicinali, che fanno parte di una consegna dell’OMS e permettono ancora di fornire una qualche assistenza.

E per quanto riguarda i generi alimentari?

È rimasto qualcosa anche di quello, ma è difficilissimo rifornirsi. Noi riusciamo a mandare del denaro attraverso carte ricaricabili o bonifici, e sta diventando sempre più difficile reperire viveri al mercato nero. Non si trova più niente. In parrocchia c’è solo qualche genere di prima necessità a lunga conservazione, ma non sappiamo quanto potranno durare.


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Nel frattempo, le operazioni militari?

I bombardamenti continuano. Ce ne sono stati di molto vicini, a Nuseirat camp, per esempio, con decine di morti. L’idea chiara è che vogliono mandare via da Gaza nord il maggior numero di persone possibile. Quindi, anche se non c’è un ordine di evacuazione che riguarda il nostro compound, l’obiettivo è quello di allontanare le persone attraverso questo assedio. È stata fatta una riunione in Caritas su questo tema e si è deciso di restare nella parrocchia.

Della possibilità di portare aiuti non si parla?

Per ora no. Israele non apre gli ingressi. Ci sono tutti i convogli umanitari in attesa, con OMS e ONU che cercano di dialogare con le autorità israeliane per far entrare qualcosa.

Intanto è stato segnalato anche un assalto a un centinaio di convogli che erano riusciti a passare. Succede anche questo?

Il problema non è solo entrare nella Striscia, ma anche arrivare a destinazione. Se non vengono interrotte le operazioni militari si corrono rischi altissimi. Se non comunicano quali sono i tragitti che possono essere percorsi per un determinato periodo di tempo, nessuno si prende il rischio di andare.

Il mercato nero da cosa è alimentato?

Un po’ da quello che è rimasto della produzione locale: qualcosa di frutta e verdura arriva ancora dalle campagne, prima capaci di una produzione abbondante. Per il resto bisogna considerare che, oltre ai convogli umanitari, ci sono anche quelli commerciali. Quel poco che entra finisce sul mercato nero: non ci sono regole e controlli, i prezzi schizzano alle stelle. È rarissimo che ci siano negozi aperti. Chi commerciava riesce ad approvvigionarsi un po’ e magari riesce a vendere in strada o con contatti a chiamata.

(Paolo Rossetti)

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